03/09/2020 di Luca Scalise

Legalizzando l’aborto clandestino, il risultato non cambia

Come cominciarono le pressioni per una legge sull’aborto in Italia? Con la presunta volontà di contrastare l’aborto clandestino, al punto che i numeri delle morti causate da quest’ultimo sarebbero stati gonfiati all’inverosimile, pur di convincere l’opinione pubblica a schierarsi per la legalizzazione di questa pratica.

E ora cosa accade? Come nota Renata Natili Micheli, presidente del Centro italiano femminile (Cif), «Le femministe di ogni scuola di pensiero e i radicali militanti si sono battuti perché finisse l’aborto clandestino da cui le donne ‘riemergevano rovinate nel corpo e nella psiche’», mentre oggi, «sostengono l’uso della pillola Ru486 che permette l’aborto fai da te fuori dalle strutture sanitarie che sono a presidio della salute della donna», leggiamo su Agensir.

Se consideriamo che, come spiegavamo in un articolo, solo nel 2011 «la Food and Drug Administration (FDA) aveva indicato 2.207 casi di emergenze mediche dovuti all’aborto farmacologico: si trattava di 256 sepsi di cui 48 classificate come “severe”, 339 emorragie per cui è stato necessario effettuare una trasfusione, 612 ricoveri, 58 casi di gravidanze extrauterine e 14 decessi», come possiamo ritenere conciliabili la tutela della donna e la promozione dell’aborto?

Non molti sanno, infatti, che l’aborto - anche quello che dicono essere “sicuro e legale” – espone a gravi rischi la salute femminile delle donne che vi fanno ricorso. Peccato che a tanti promotori dell’aborto sembri non interessare tanto la salute delle donne, quanto che questo macabro business prosegua incontrastato.

Sono sempre di più le testimonianze di donne che raccontano l’incubo vissuto dopo aver fatto uso della pillola Ru486, affinché altre donne possano evitare di soffrire come loro. Tutelare davvero i loro diritti significa offrire loro la possibilità di scegliere la vita, aiutarle a cercare alternative che non danneggino nessuno, non lasciarle sole e spingerle all’aborto.

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