22/06/2022 di Luca Marcolivio

Pride e gender. Il vescovo di Aversa Spinillo: «Rispettare gli altri ma vogliamo essere rispettati»

Sabato prossimo si annuncia una nuova serie di Pride in numerose città italiane. Una di queste è Aversa. Abbiamo sentito il vescovo monsignor Angelo Spinillo, che ha sottolineato come la Chiesa e i cattolici debbano riaffermano i loro principi di sempre, anche davanti a chi li contesta, ma lo devono fare senza discriminare o insultare, consapevoli che Dio e la natura sono dalla parte loro, nonostante spesso siano proprio i sostenitori dei Pride ad offendere, insultare e discriminare le religioni, come abbiamo più volte viste in altre manifestazioni simili.

Eccellenza, sabato prossimo avrà luogo l’Aversa Pride. La vostra comunità diocesana come ha accolto questo evento?

«Al momento non mi pare di vedere una grande attenzione attorno a questo evento. Sicuramente avverto un po’ di perplessità nella gente, pur nel rispetto delle opinioni di ciascuno. I nostri fedeli non vogliono offendere nessuno ma nemmeno essere offesi. Vivono comunque con un certo distacco questo evento».

In qualità di vescovo e pastore, come giudica questa situazione?

«Ho avuto modo di incontrare gli organizzatori del Pride, sono loro stessi che hanno voluto vedermi. Siamo chiamati a vivere nel segno del dialogo e nel rispetto dell’identità di ciascuno. Ci auguriamo che, anche nel linguaggio, questa manifestazione sia rispettosa. Da parte mia, non credo di poter essere definito omofobo, semplicemente perché ho una visione diversa dalla loro, né credo di aver paura della realtà di persone che vivono o pensano in maniera diversa da quella che io ritengo sia più corretta e più giusta».

Il dialogo di cui Lei parla quali limiti incontra? Quali sono i punti su cui la Chiesa e la legge naturale non possono transigere?

«Credo che ci si possa confrontare, guardando alla realtà delle cose, quindi, rispettando le scelte di vita di ogni persona. Dobbiamo mantenere fermo il nostro pensiero su ciò che riguarda il rapporto tra l’uomo e la donna e il vivere la genitorialità nella forma che il Creatore e la natura ci hanno consegnato».

Si parla molto di diffusione dell’ideologia gender nelle scuole di ogni ordine e grado e, in particolare, di “carriera alias”. Quali sono, a suo avviso, i rischi più grandi che corrono i bambini e i ragazzi?

«Viviamo sempre più in una società che non si ritrova più in una visione unitaria del mondo e che fa fatica a vivere il senso comunitario del nostro essere persone umane. Questa società molto instabile tende ad attribuire una straordinaria importanza alle scelte personali nella determinazione del proprio modo di essere. Molto difficilmente tutto questo può conciliarsi con ciò che, sulla base della fede cristiana, siamo propensi ad annunciare, cioè la consapevolezza che la vita è un dono, non qualcosa che ci fabbrichiamo noi, ma qualcosa che, per l’appunto, accettiamo come dono, un dono che siamo chiamati a trasmettere e comunicare e che, a sua volta, genera nuova vita. La società di oggi fa molta fatica a recepirlo, viviamo in un momento di turbolenza e di confusione, in cui siamo chiamati a trovare degli equilibri tra la soggettività propria della persona e una dimensione comunitaria, con una verità più grande del soggetto, che ci è data e che non costruiamo noi. In questa dimensione, il confronto è sicuramente un po’ faticoso. A volte non riusciamo a comprenderci su questi temi, però siamo ugualmente chiamati a costruire un dialogo, da portare avanti con tutte le fatiche del caso».

Cosa ne pensa, invece, della sessualizzazione precoce dell’infanzia e dei pericoli della pedopornografia, che oggi arrivano soprattutto dal web?

«È uno di quei fenomeni, in cui la persona umana viene strumentalizzata per offrire piacere. Quando il pedofilo si giustifica, parlando di una sorta di affettività che vorrebbe manifestare intensamente nei confronti di un bambino, dovrebbe rendersi conto che sta modellando su se stesso, una vita che deve ancora maturare, fare il suo percorso di vita e crescere nella verità. Utilizzare l’altro, anche per una pura soddisfazione affettiva, è comunque da condannare ed impone una seria riflessione: richiede, cioè, di essere attenti e di scegliere ciò che fa veramente maturare l’umanità e non soltanto ciò che tende a saziarla».

Ci sono sacerdoti e parrocchie che indicono veglie contro l’omofobia, suscitando perplessità in molti fedeli. Quale dovrebbe essere, secondo Lei, il giusto atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’omosessualità, nonché del mondo LGBT+?

«Credo che innanzitutto non dovremmo metterci nell’atteggiamento di creare delle “controffensive”. La verità va annunciata per quello che è, nella vita di tutti i giorni, all’insegna della valorizzazione autentica della persona. La vita non consiste solo nella ricerca di una soddisfazione o nell’esaltazione della propria libertà ma, piuttosto, nella possibilità di conoscere e di apprezzare ciò che è buono e ciò che è giusto. È vero che spesso ci troviamo di fronte a persone che si mostrano piuttosto aggressive nei confronti di chi la pensa diversamente. Anche in questo caso, però, dobbiamo poter condividere ciò che è bene, senza cercare contrapposizioni, né chiudere a una possibilità di incontro. Non è facile ma, anche di fronte a tanti che non rispettano la verità della persona, noi dobbiamo rimanere quelli che cercano di rispettare queste persone, anche quando non siamo d’accordo con loro».

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