Mentre il Parlamento italiano si appresta a iniziare in Aula in Senato la discussione su una proposta di legge sul suicidio medicalmente assistito, ormai da diversi anni una drammatica lezione ci arriva dal resto del Mondo, in particolare dai Paesi che hanno legalizzato pratiche mortifere come proprio il suicidio assistito o l’eutanasia. Una lezione tanto drammatica quanto semplice: dove c’è una legge si è registrato un vertiginoso aumento di richieste e di morti procurate, anche con derive sui “motivi” del perché si chiede la morte. Dunque un drastico aumento di malati, pazienti, fragili - talvolta anche disabili - letteralmente spinti a chiedere di morire.
Ecco perché l’Italia non ha bisogno di una legge sul suicidio medicalmente assistito né di nessun altra norma sul fine vita: semmai l’unica legge accettabile - che in realtà esiste già, la Legge 38/2010 ma che andrebbe applicata e migliorata - è quella che impedisca ogni forma e tipologia di deriva eutanasica, senza scappatoie, eccezioni o deroghe. E casi come Canada, Belgio, Svizzera e Olanda ce lo confermano.
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I 60mila morti in Canada
Iniziamo dal “Caso Canada”, che potremmo definire un ritratto impietoso di come la legalizzazione della Medical Assistance in Dying (MAID) sia rapidamente passata da una misura residuale a una componente significativa del panorama sanitario canadese. Introdotta nel giugno 2016, già alla fine del 2023 aveva registrato oltre 60.000 morti. Nel primo anno aveva registrato “soltanto” 1.018 decessi, ma già nel 2017 questo numero è schizzato a 2.838 casi, segnando un aumento del 179 % rispetto al 2016. Tale crescita impressionante non si è arrestata: nel 2018 si è saliti a 4.493 morti, nel 2019 a 5.665, nel 2020 a 7.611 e nel 2021 a 10.092, con una crescita media annua di oltre il 58% nei primi anni e del 31% tra il 2019 e il 2022. Proprio il 2022 ha segnato un ulteriore balzo, con 13.241 procedure contabilizzate, pari al 4,1% di tutti i decessi canadesi e l’anno successivo, il 2023, è stato l’anno record: 15.343 morti per MAID, che corrispondono al 4,7% del totale delle morti in Canada, equivalenti a un morto su venti.
Dietro questi numeri emergono dati ancora più allarmanti sulla natura delle richieste: nel 2022 sono state presentate 16.104 richieste scritte, con un +26,5% rispetto al 2021, e l’81,4% di queste si è concluso con la somministrazione della MAID e di queste il 96 % delle persone che hanno ricevuto la MAID erano affette da condizioni terminali, mentre l’età media è ogni anno di circa 77,6 anni
Le patologie che maggiormente motivavano la richiesta erano il cancro (63% nel 2022), le malattie cardiovascolari (18,8%) e problemi neurologici (12,6%). Tuttavia, è emersa una crescente area di “non terminali”: nel 2022 si sono registrati 463 casi in cui la morte non era prevedibile, un fenomeno esaminato con crescente preoccupazione, dato che in passato erano “solo” 223. Uno dei tratti più controversi del “modello canadese” riguarda proprio il modo in cui la MAID viene proposta e percepita: documenti interni e resoconti giornalistici dell’Associated Press hanno riportato che numerosi pazienti provenienti da contesti di povertà, disabilità, precarietà abitativa o solitudine avrebbero ricevuto suggerimenti per ricorrere al suicidio assistito. Negli anni, inoltre, la legislazione ha continuato a espandersi e andare alla deriva: con il Bill C‑7 del marzo 2021, per esempio, la MAID è stata estesa anche a pazienti la cui morte non è “ragionevolmente prevedibile”, rimuovendo periodi di attesa e semplificando i testimoni e le certificazioni mediche necessarie, mentre un’ulteriore estensione ai casi di sofferenza psichica è stata soltanto rinviata al 2027, ma la discussione è già avviata
In sintesi, il “Caso Canada” documenta come in meno di dieci anni il suicidio assistito sia passato da presunta “soluzione” - comunque sempre disumana - per casi estremamente selezionati (1.018 nel 2016) a pratica che oggi riguarda oltre 15.000 persone ogni anno, coinvolgendo quasi il 5 % dei decessi complessivi. I dati ufficiali di Health Canada, i report annuali, le cifre riportate dai maggiori quotidiani internazionali e canadesi mostrano quindi un trend inequivocabile: la MAID è diventata una componente strutturale della sanità canadese.
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Morti aumentate di dieci volte in Belgio
C’è poi il Belgio, che è praticamente gemello di quanto descritto finora. Anche in questo caso, infatti, le procedure di fine vita sono passate da pratiche residuali a componenti regolari del sistema sanitario belga. Nel 2003, appena un anno dopo la legalizzazione, si registravano “appena” 236 decessi tramite eutanasia; nel 2023 i casi erano saliti a 3.423, pari a circa il 3,1%–3,3 % di tutte le morti nel Paese, segnando un incremento del 15 % rispetto all’anno precedente. La tendenza è proseguita nel 2024, con 3.991 pratiche di eutanasia – un aumento del 16,6% – equivalenti al 3,6% di tutti i decessi belgi. Si tratta anche in questo caso di un aumento esponenziale, che riflette una crescita di quasi dieci volte in due decenni. La Commissione federale per il controllo e la valutazione di questa pratica ha attribuito gran parte di questo incremento all’aumento delle registrazioni in lingua olandese (+25%) e a una crescita dei casi non terminali, con 932 situazioni nel 2024 contro 713 nel 2023.
Emerge inoltre un deciso sbilanciamento verso gli anziani: il 72,6 % delle persone sono oltre i 70 anni e il 43,2 % oltre gli 80, mentre le persone sotto i 40 anni rimangono una minoranza (1,3%) e i minorenni coinvolti, seppur rarissimi, sono stati segnalati nel 2024 in un unico caso, portando a sei il totale da quando la legge è stata estesa ai minori nel 2014. Gran parte delle pratiche, il 50,4%, si è svolta a domicilio, con un altro 30,2% in ospedali (inclusi il 6,3 % in cure palliative) e il 17,6% in case di riposo. Le patologie che motivano le richieste sono per lo più di origine oncologica (54%), seguite da polipatologie legate all’invecchiamento (26,8%), disturbi neurologici (8,1%), condizioni respiratorie e cardiovascolari. Nella normativa sono stati poi allargate le maglie dei criteri per poter accedere a tali pratiche: età avanzata, perdita di autonomia, dolore psicologico e non solo terminalità medica. Un’evoluzione che secondo osservatori critici ed esperti medici e psichiatri apre un inquietante “sliding slope” verso una cultura della morte. Il “modello belga” è inoltre diventato meta anche di “suicide tourism”: nel 2024 ben 120 persone residenti all’estero – prevalentemente dalla Francia – hanno fatto ricorso all’eutanasia in Belgio.
Il drammatico +515% in Olanda
Anche l’Olanda rappresenta uno degli esempi più emblematici e preoccupanti delle conseguenze dell’introduzione legale dell’eutanasia e del suicidio assistito all’interno di un ordinamento giuridico. I primi dati disponibili parlano di circa 1.626 casi nel 2002, equivalenti a circa l’1,2% dei decessi complessivi del Paese. Quell’inizio apparentemente contenuto ha lasciato però spazio, negli anni successivi, a un’espansione continua: già nel 2010 i casi erano saliti a oltre 4.000 e nel 2017 avevano raggiunto quota 6.585. Ma è soprattutto nell’ultimo quinquennio che si è registrata un’accelerazione significativa e drammatica del fenomeno. Nel 2022 le notifiche ufficiali di eutanasia sono state 8.720, rappresentando il 5,1% di tutti i decessi. L’anno successivo, nel 2023, le cifre sono cresciute ancora: 9.068 morti per eutanasia, corrispondenti al 5,4% dei decessi. Secondo i dati più recenti del 2024, le pratiche di eutanasia hanno raggiunto quota 9.958, un incremento del 10% rispetto all’anno precedente, che porta l’incidenza sul totale delle morti al 5,8%, ossia più di una morte su venti. Si tratta del valore più alto mai registrato nei Paesi Bassi da quando la legge è entrata in vigore. Questi dati sono stati confermati dalla Regional Euthanasia Review Committees e pubblicati nei rapporti ufficiali dell’organism. Ancora più allarmante è l’ampliamento delle condizioni per le quali l’eutanasia viene richiesta e concessa: mentre inizialmente era rivolta a pazienti terminali affetti da patologie oncologiche gravi, negli ultimi anni si è assistito a un incremento dei casi legati alla sofferenza psichica, comprese le malattie mentali e persino la cosiddetta “stanchezza di vivere”. Nel 2024 si è registrata una vera impennata: 219 casi, con un incremento del 59% rispetto all’anno precedente. Tra questi, circa trenta riguardano persone sotto i 30 anni di età, mentre nel 2020 i casi in quella fascia d’età erano “solo” 5. In definitiva si può fare il calcolo di come in ventidue anni il numero complessivo delle morti per eutanasia sia aumentato del 515%.
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La deriva, anche tecnologica, della Svizzera
Infine c’è la Svizzera, forse il caso più eloquente e più “liberal” nel concedere la morte a chi lo richieda, anche dall’estero. Le associazioni come Exit hanno segnalato che nel 2022 la pratica ha interessato 1.125 persone, il che rappresenta un incremento del 15% rispetto all’anno precedente. Nel 2023, questi numeri sono ulteriormente cresciuti, arrivando a 1.252 casi, confermando un aumento dell’11% rispetto all’anno precedente e attestando l’età media degli assistiti intorno agli 80 anni. La maggioranza dei casi si registra in contesti privati, con circa il 75% delle procedure svolte a domicilio e quasi un quinto in case di riposo, segno che la pratica si è profondamente radicata all’interno della normalità socio-sanitaria.
Sul fronte delle patologie, la quota principale, circa il 31% dei casi nel 2023, riguarda pazienti con diagnosi di cancro terminale, mentre il resto è costituito da persone con pluripatologie associate all’età avanzata e altre condizioni debilitanti. Il contesto normativo, che dal dopoguerra ha depenalizzato l’assistenza al suicidio per motivi “altruistici”, ha aperto la strada non solo ai casi fai-da-te, ma anche al “suicide tourism”, sebbene la stragrande maggioranza dei casi coinvolga cittadini o residenti svizzeri. A questi dati si aggiunge un radicale cambiamento sociale: negli ultimi decenni, la partecipazione delle associazioni per l’assistenza al suicidio ha raggiunto cifre senza precedenti. Nel 2022 Exit ha registrato oltre 154.000 iscritti solo nella Svizzera tedesca e nel Ticino, cui si aggiungono decine di migliaia per le analoghe organizzazioni nella Svizzera romanda. Questo boom di tesseramenti rispecchia una crescita culturale che normalizza la scelta del suicidio assistito, lontana dall’essere un gesto estremo e isolato, ma sempre più percepita come opzione legittima di fine vita, dunque “normalizzata” e anzi letteralmente spinta dall’avere una legge in tal senso.
Inoltre, fenomeni nuovi come la macchina “Sarco”, progettata per consentire un suicidio attraverso un pulsante, stanno già sollevando dibattiti etici internazionali, segnalando che la Svizzera è già diventata un vero e proprio laboratorio di sperimentazioni anche tecnologiche sulla morte assistita.
Una deriva totale, dunque, che Oltralpe - ma anche negli altri Paesi - ha avuto lo stesso, identico, inizio: una legge.