Ci siamo. In vista del 17 luglio – data prevista per il suo approdo in Aula in Parlamento – è pronto il testo base per la proposta di legge sul fine vita, promosso dai partiti di maggioranza di centrodestra. Una norma che non sarebbe la prima in assoluto sulla materia – anzi, sarebbe la terza in Italia dopo quelle sulle cure palliative del 2010 e sul biotestamento del 2017 -, ma sarebbe la prima esplicitamente dedicata al suicidio medicalmente assistito e che recepisce i pronunciamenti della Corte Costituzionale, la quale ha stabilito le condizioni della non punibilità del suicidio assistito nel nostro Paese.
La proposta di legge è e rimarrà sempre irricevibile - e dunque da respingere in toto - per Pro Vita & Famiglia onlus. Nessuna norma sarà, infatti, mai accettabile finché conterrà anche il benché minimo accenno alla possibilità di uccidere una persona, tanto più se condizionata dalla malattia o da altre fragilità. Al contrario, l’unica legge accettabile - che in realtà esiste già, la Legge 38/2010 ma che andrebbe applicata e migliorata - è quella che, intervenendo solo sul piano delle cure palliative e rafforzandole, impedisca ogni forma e tipologia di deriva eutanasica, senza scappatoie, eccezioni o deroghe. Perché la vita umana è un valore intangibile ed è, pertanto, sempre degna di essere vissuta fino in fondo.
I punti centrali del testo base
Il testo – che dovrebbe iniziare il suo percorso, come detto, in Aula il prossimo 17 luglio – verte attorno a quattro elementi: la conferma della non punibilità di chi aiuta altri ad uccidersi in presenza delle condizioni disposte dalla Consulta, una “promessa” di potenziare il sistema di cure palliative, l’istituzione di un“Comitato Nazionale di Valutazione” e l’esclusione del ruolo del Sistema Sanitario Nazionale. Ma andiamo con ordine e snoccioliamo, uno per uno, i punti di questa legge che – comunque – è e rimane per Pro Vita & Famiglia onlus irricevibile e assolutamente da bloccare e bocciare.
La non punibilità di chi aiuta a morire
La legge introduce nel Codice Penale, all’art. 580, dopo il comma 2, un comma 2-bis che prevede la non punibilità di chi «agevola l’esecuzione del proposito» di morire da parte di una persona «maggiorenne, inserita nel percorso di cure palliative, tenuta in vita da trattamenti sostitutivi di funzioni vitali e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, ma pienamente capace di intendere e di volere», dunque recependo le disposizioni che la Corte Costituzionale diede con la sentenza 242/2019 per l’ormai tristemente famoso caso DJ Fabo-Cappato.
Le cure palliative
Il secondo punto riguarda le cure palliative come prerequisito per il suicidio assistito. Il paziente dovrebbe, quindi, essere già inserito in un percorso di cure palliative, considerate essenziali per una scelta libera e consapevole. In effetti, la stessa Corte Costituzionale, se da un lato ha incoraggiato il legislatore ad intervenire sul fine vita, dall’altro ha evidenziato la necessità di adoperarsi sul fronte delle cure palliative. Basta leggere la sentenza 135 del 2014, nella quale si afferma a chiare lettere che «deve essere confermato lo stringente appello, già contenuto nella sentenza n. 242 del 2019 (punto 2.4. del Considerato in diritto), affinché, sull’intero territorio nazionale, sia garantito a tutti i pazienti […] una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza, secondo quanto previsto dalla legge n. 38 del 2010, sul cui integrale rispetto giustamente insiste l’Avvocatura generale dello Stato», assicurando, innanzitutto, «la previsione delle necessarie coperture dei fabbisogni finanziari».
Il testo di legge prevede anche un organismo di monitoraggio, l’Agenas, per controllare la spesa delle Regioni in favore di queste cure e raggiungere l’impegno, già fissato dalla richiamata Legge 38, di portare entro il 2028 una copertura attraverso le medesime del 90% sul territorio per gli aventi diritto. Non si tratta, comunque la si pensi, di un traguardo scontato se si considera che nel pur virtuoso Veneto dove il Governatore Luca Zaia si è speso per una legge sul suicidio assistito – venendo sconfitto in Consiglio regionale – appena il 26% delle Usl sia dotato di équipe specialistiche, negli hospice manchino circa 250 posti letto, solo il 12% delle Usl goda di un servizio 24 ore su 24, solo il 27% abbia specialisti in Medicina palliativa e solo il 32% sia finora riuscito ad essere seguito a casa, con le cure palliative appunto (dati Agenas).
Un Comitato “etico” nazionale
Si prevede poi un organo nazionale - non più regionale, quindi – chiamato «Comitato Nazionale di Valutazione» e nominato dalla Presidenza del Consiglio composto da sette figure: un giurista, un bioeticista, un anestesista-rianimatore, un palliativista, uno psichiatra, uno psicologo ed un infermiere. Tale «Comitato» risponderebbe ad una specifica funzione: valutare la sussistenza dei requisiti fissati dalla Corte a richiesta dei pazienti che intendono procedere col suicidio assistito con l’obbligo di pronunciarsi entro 60 giorni - prorogabili massimo a 120 - e l’acquisizione di un parere medico non vincolante sulla patologia del richiedente.
Il ruolo del Servizio Sanitario Nazionale
Infine, il quarto fronte su cui interviene la nuova proposta di legge concerne il ruolo del Servizio sanitario nazionale (Ssn), che non erogherà direttamente la morte assistita. Nel testo di legge, infatti, si legge che il personale, le strumentazioni e i farmaci del sistema sanitario nazionale «non possono essere impiegati al fine della agevolazione del proposito di fine vita considerata dalla sentenza della Corte Costituzionale».
L’iter del testo che arriverà in Aula il 17 luglio si prevede lungo e tormentato. Ma un dato è certo: se approvata, questa legge, esattamente come già accaduto con la Legge 194 sull’aborto o la Legge 40 sulla Procreazione medicalmente assistita, diventerà carne da macello per magistrati e tribunali, compresa la stessa Corte Costituzionale, che provvederà ad usare le aperture del Parlamento per abbattere qualsiasi fragile “paletto” e “limite” che la maggioranza di centrodestra vorrebbe fissare.