Dopo anni di polemiche, proteste e richieste di giustizia da parte di atlete e organizzazioni sportive, l’Università della Pennsylvania (UPenn) ha finalmente riconosciuto di aver violato il Title IX – la legge federale americana che vieta ogni discriminazione sessuale negli ambienti educativi – permettendo al nuotatore transgender Lia Thomas, nato uomo, di gareggiare contro le ragazze nei campionati femminili di nuoto.
L’annuncio è arrivato con una comunicazione ufficiale del Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti, che ha reso pubblico l’Accordo di Risoluzione sottoscritto da UPenn dopo un’indagine condotta dall’Office for Civil Rights (OCR). Un’indagine che ha certificato come l’ammissione di Thomas alle competizioni e agli spogliatoi femminili rappresentasse una violazione dei diritti delle atlete donne, costrette a subire una sistematica ingiustizia sportiva nel nome dell’ideologia Lgbtqia+
Revoca dei titoli e scuse alle atlete
Ora l’Università della Pennsylvania si è impegnata formalmente a: revocare i titoli e i record ottenuti da Lia Thomas nelle competizioni femminili e restituirli alle legittime vincitrici; chiedere scusa personalmente, con una lettera ufficiale, a ciascuna delle nuotatrici coinvolte; dichiarare pubblicamente il proprio impegno a non ammettere mai più uomini biologici nei programmi atletici femminili e a vietarne l’accesso agli spazi riservati alle donne; adottare definizioni basate solo sulla biologia per le parole “maschio” e “femmina”, in linea con il Title IX e con gli Ordini Esecutivi firmati dall’Amministrazione Trump (“Defending Women from Gender Ideology Extremism” e “Keeping Men Out of Women’s Sports”).
La reazione delle atlete
Si tratta di una vera e propria inversione di rotta: per la prima volta, infatti, un’istituzione accademica ammette pubblicamente l’errore di aver favorito un atleta maschio a danno di atlete donne, riportando al centro la verità biologica e il diritto alla pari dignità nello sport. Tra le principali sostenitrici di questa battaglia vi è stata Paula Scanlan, nuotatrice ed ex studentessa dell’ Università della Pennsylvania, che ha gareggiato proprio contro Thomas: Scanlan ha più volte denunciato la situazione paradossale vissuta dalle ragazze: «Oggi è un giorno importante per sanare le ferite subite da noi atlete e restituire allo sport femminile la sua legittimità», ha dichiarato. Al suo fianco anche Riley Gaines, ex campionessa universitaria, da tempo impegnata nella difesa della categoria femminile: «È la prova che le istituzioni possono cambiare direzione, se la verità viene detta con coraggio».
Il vento sta cambiando?
Questa notizia rappresenta un precedente cruciale a livello internazionale. Dimostra che è possibile – e doveroso – difendere lo sport femminile dalle derive ideologiche del gender e del transattivismo, che hanno permesso a uomini biologici di invadere spazi, categorie e competizioni femminili, compromettendo salute, dignità e meritocrazia. Un precedente che chiama in causa anche casi europei come quello della pugile algerina Imane Khelif, che ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024 nella categoria femminile nonostante gli elevatissimi livelli di testosterone, o quello - in Italia - di Valentina Petrillo, uomo biologico che ha sottratto podi e medaglie alle donne nelle gare paralimpiche femminili. Anche questi casi meritano lo stesso trattamento ricevuto oggi da Lia Thomas: ripristinare la verità biologica, restituire giustizia e medaglie alle donne, dunque proteggere lo sport.