09/11/2022 di Luca Marcolivio

Sasso (Lega): «Si rispetti legge che esclude la sedicente Carriera Alias»

Durante il governo Draghi, la sua azione da sottosegretario all’Istruzione è stata il principale baluardo contro l’avanzamento dell’ideologia gender nelle scuole italiane. Attualmente, con il centrodestra al governo, è difficile pensare che certi modelli educativi sperimentali possano avere vita facile, tuttavia l’onorevole Rossano Sasso (Lega), intervistato da Pro Vita & Famiglia, ci tiene a ribadirlo: anomalie come la carriera alias rimangono illegali, in quanto soltanto un giudice e un medico possono pronunciarsi sull’identità di genere di uno studente, non certo gli insegnanti o il dirigente scolastico. Senza dimenticare il primato educativo della famiglia.

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Onorevole Sasso, da cittadino e insegnante, prima ancora che da parlamentare, qual è il suo punto di vista generale sulla questione carriera alias?

«Più che un punto di vista, il mio è un rispetto delle norme attualmente in vigore che escludono la possibilità di una sedicente “carriera alias” nelle nostre scuole perché, la transizione di genere e la disforia di genere sono temi che vengono contemplati dal legislatore con delle regole scritte. Sostituirsi a quanto prevede la norma non compete né al singolo insegnante, né al singolo dirigente scolastico. Ci sono stati casi in cui degli insegnanti, finanche in assenza di minori che avessero intrapreso un percorso, avevano istituito la carriera alias con tanto di comunicati stampa. Da parte mia, massimo rispetto nei confronti di chiunque viva la transizione di genere. Fatta questa premessa, non bisogna confondere il singolo caso, che deve avere tutela e rispetto secondo quanto previsto dalla legge, con l’ideologia di una minoranza davvero sparuta che però pretende di fare politica su temi che non possono essere sminuiti. Soltanto un giudice amministrativo e un medico possono prendere determinate decisioni per un minorenne, non un insegnante, né tantomeno il militante di un’associazione. Da deputato, da ex sottosegretario, da insegnante e anche da padre, affermo che si debba rispettare la legge. Bene farà il Ministero dell’Istruzione e del Merito a impedire, se necessario, che – fermo restando il rispetto e la tutela di chi sta vivendo un percorso di transizione – nelle scuole possa affermarsi un’ideologia a fini meramente politici: iniziative del genere non troveranno mai il mio consenso».

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A suo avviso, che tipo di risposta dovrebbero dare gli insegnanti e i dirigenti scolastici agli allievi con dubbi sulla propria identità di genere?

«È un tema sicuramente delicato. Prima di essere tale, l’insegnante è innanzitutto educatore. Di sicuro, un insegnante che prende un’iniziativa che non gli compete, non ha la mia approvazione. Determinati temi e valori vanno lasciati ai genitori: solo le famiglie hanno la facoltà di incidere o meno su determinate scelte. Di certo, non vedo il perché un dirigente scolastico debba, a seconda dei casi, chiarire o confondere la mente di un adolescente. Su certi temi delicati o sensibili, io auspico il primato della famiglia e non di altri soggetti».

In qualità di sottosegretario all’Istruzione, quali sono stati i risultati più importanti ottenuti per arginare questa tendenza?

«Per me parlano le cronache. Un episodio su tutti: quando la carriera alias era uno dei temi all’ordine del giorno, insieme alla diffusione della teoria gender, da sottosegretario ero letteralmente saltato sulla sedia, vedendo su un documento un timbro del ministero dell’Istruzione (nella fattispecie dell’ufficio scolastico regionale del Lazio), forse per una svista, forse per una scelta di qualche singolo dirigente. Questo timbro dava una presunta possibilità ad un’associazione che poi venne sbugiardata dall’ospedale coinvolto; quindi, non c’era nessun patrocinio in questo senso. In quell’occasione, vietammo la possibilità di fare propaganda di genere con sedicenti esperti esterni nelle nostre scuole e lo facemmo in punta di diritto, facendo leva sulla circolare n°1972, emanata dal governo Renzi, che vieta espressamente la propaganda di genere. Sollevammo questa eccezione all’allora Ministro [Patrizio Bianchi, ndr] – non della mia parte politica, lo voglio ricordare – che prese atto di questa mia osservazione e quelle iniziative vennero bloccate. Durante il mio mandato ho avuto tante segnalazioni e ho potuto esprimere solidarietà e vicinanza a quei dirigenti scolastici che non gradivano determinate iniziative da parte degli studenti. Così come quando il mio partito, assieme al resto del centrodestra, si oppose fermamente alla deriva progressista del ddl Zan, soprattutto nella misura in cui si pretendeva di celebrare la giornata dell’orgoglio LGBT nelle nostre scuole fin dalla primaria. Ferma restando la tutela dei diritti e il perseguimento di chi discrimina per l’orientamento sessuale, voglio dirlo ad alta voce: chi discrimina per l’orientamento sessuale è un idiota, ma chi vuol fare propaganda su determinati temi, non rispettando la sensibilità comune, il primato delle famiglie, il patto di corresponsabilità educativa e le norme di vigenti, non avrà mai assolutamente il mio consenso».

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Ora che è al potere un governo di centrodestra, ritiene che l’adozione della carriera alias nelle scuole italiane avrà vita meno facile? Cosa bisognerebbe ancora fare?

«Basta vigilare e far applicare la legge. È chiaro che io non voglio trascinare il contenzioso in ogni singola scuola in cui, in maniera del tutto illegittima, si attivano queste carriere. Esistono delle norme, quindi gli uffici scolastici regionali andrebbero sensibilizzati al loro rispetto. Ben vengano assemblee, riunioni, approfondimenti e convegni, ma nel momento in cui un professore o un dirigente scolastico si sostituiscono ad un medico o a un giudice amministrativo, se sono singoli episodi, si può anche evitare di prevedere interventi normativi. È chiaro, però, che se il fenomeno diventa più esteso, allora bisogna chiedere un parere al legislatore. Lo ribadisco: attualmente l’ordinamento prevede che si possano attivare le carriere alias soltanto con un documento sanitario e un provvedimento di un giudice. Se non viviamo più in uno stato di diritto e chiunque la mattina si alza e può decidere di fare quello che vuole, allora parliamone… Ma non penso che sarà questo il caso della nostra amata nazione, soprattutto adesso che c’è un governo di destra democraticamente designato».

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