07/12/2022 di Luca Marcolivio

Psicologo: «La Carriera Alias è una deviazione che crea fratture e conflitti».

La strada giusta per i preadolescenti e adolescenti che incorrano nella disforia di genere è quella della psicoterapia, affinché possano comprendere più a fondo il proprio universo interiore. In tal caso, i ragazzi coinvolti saranno probabilmente meno propensi a scegliere una “carriera alias” o una transizione di genere. Il tema è stato affrontato da Pro Vita & Famiglia (che proprio ieri ha annunciato di aver diffidato oltre 150 scuole per questo) assieme a Paolo Scapellato, psicologo e psicoterapeuta, da anni esperto della materia, avendola trattata sia a livello clinico che accademico, attraverso numerose pubblicazioni.

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Dottor Scapellato, poco più di un mese fa, lei è stato relatore al convegno a Roma su Il rischio educativo nel linguaggio dei media e la transizione di genere: che dati emergono dal suo intervento?

«Le ricerche sono tante e tutte concordi nel suggerire un approccio di prudenza su questi temi. Soprattutto nello specifico degli interventi sui bambini prepuberi che manifestano un’incongruenza di genere, si tende a suggerire una serie di attività: si parte dalla transizione sociale, di modo che l’ambiente esterno (famiglia, scuola, amici) accetti il bambino secondo il genere a cui lui sente di appartenere; si arriva quindi a interventi sempre più invasivi, con l’assunzione di triptorelina o di farmaci che bloccano la pubertà, fino alla somministrazione di ormoni cross-gender e agli interventi chirurgici per il cambio di sesso. Dal momento in cui, poi, si è visto che, nel passaggio dall’età prepuberale all’adolescenza, è bassissima la percentuale di ragazzi che insistono nel perseguire la strada della disforia di genere, intervenire in questo modo così massiccio e, per certi versi, anche irreversibile, è sempre un rischio».

Da almeno un anno, ferve il dibattito nelle scuole italiane sulla cosiddetta “carriera alias”: cos’è che spinge molti dirigenti scolastici ad adottarla?

«La “carriera alias” – ovvero l’istituzione, da parte della scuola di un’identità basata sull’identità di genere e non sul dato biologico – fa parte della cosiddetta transizione sociale. Alcuni studi dimostrano come, più giovane è l’età, più questo tipo di misura fa aumentare la percentuale di ragazzi che persistono nella disforia. Ci chiediamo, quindi, se quegli stessi ragazzi, non avendo compiuto quella transizione, sarebbero tornati indietro, desistendo in qualche modo dal fare quella scelta. Quindi, come minimo, non è una scelta prudente. Il punto è che molti dirigenti scolastici permettono la “carriera alias” per vari motivi: alcuni la vedono come una moda, altri come una conquista di progresso, altri ancora sottovalutano la situazione. Purtroppo, nella società d’oggi regna la filosofia dei desideri per cui, qualunque cosa che faccia star bene qualcun altro, va fatta. In realtà, il tema va approfondito. Essendoci confusione a tutti i livelli, ritengo che, quando si tratta di fare questo tipo di scelte, i dirigenti scolastici che accettano le pressioni esterne non fanno il bene ma stanno semplicemente rispondendo a un’esigenza ideologica. Forse alcuni sono in buona fede ma non tengono conto della complessità degli effetti di questa misura».

È vero che sono soprattutto gli studenti a volere la “carriera alias”?

«Questo non lo so, credo la situazione sia diversa da scuola a scuola, però certamente possiamo dire che c’è una pressione abbastanza forte da parte delle comunità LGBT+ affinché la si adotti. Per cui, quando c’è un dirigente più vicino a queste posizioni o che viene messo sotto pressione, è probabile che tenderà a permettere la “carriera alias”. Non dimentichiamo, però, che spesso si verifica anche una contropressione: nel momento in cui in una scuola si prende una misura del genere, tante altre famiglie che non sono coinvolte in questa scelta, vanno dal preside a protestare. Quindi si tratta sempre di deviazioni che creano fratture o conflitti e che potrebbero essere superate con scelte molto più sagge, oculate e facilitanti».

Alla luce di quanto detto e del suo ruolo di psicoterapeuta, che consiglio darebbe a insegnanti, studenti e genitori che, a vario titolo, si trovassero a dover scegliere riguardo a una carriera alias?

«Penso che le azioni da intraprendere possano essere molteplici. Una di queste azioni opera a livello sociale e comunitario, per cui scuole, insegnanti e famiglie possono seguire dei corsi di aggiornamento e giornate di formazione su questi temi per comprendere la complessità della questione e gli effetti a breve e a lungo termine, poiché spesso si fa confusione sui principi base. La letteratura suggerisce che il ragazzo faccia percorsi di psicoterapia non basati sul mero accompagnamento alla transizione ma finalizzati a comprendere i meccanismi di fondo degli ambiti interiori: perché hanno bisogno di certe cose, quali sono gli effetti, ecc. Ci sono tanti ragazzi che, a quell’età, sono incapaci di vivere il proprio mondo interiore. Avere qualcuno che li aiuta a far emergere le dinamiche coinvolte in questo processo è sempre la scelta migliore. Poi si possono fare anche altre scelte ma questa è sempre la prima cosa che andrebbe fatta».

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