28/09/2022 di Fabrizio Cannone

Ora in Italia spunta fuori una “laurea” in teoria gender

Se c’è una teoria che si oppone frontalmente alla scienza, questa è la teoria, o meglio, l’ideologia del gender. Anni fa la cosa pareva così evidente che alcuni dei suoi propugnatori cercavano, con vero negazionismo, di occultarne l’esistenza.

Ma poi a forza di parlare di violenza di genere e di discriminazione di genere come foglie di fico per mascherare proprio la propaganda gender e arcobaleno, ecco che l’assurda teoria è rientrata dalla finestra, prima ancora di esser pienamente uscita dalla porta.

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Ora, sotto l’aulico nome di Gender studies, essa fa capolino nel tempio del sapere: l’università! Infatti, come riporta Tecnica della Scuola, portale di informazione sul mondo scolastico e universitario, sta per partire «la prima laurea magistrale in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione». Si tratterebbe di un «nuovo percorso istituito dall’Università La Sapienza di Roma nell’ambito dell’offerta formativa 2022/23».

Tutta l’ambiguità del corso sta nel senso assolutamente non univoco del termine magico gender (genere) che può significare cose diverse e perfino opposte. Ma che, in ogni caso, non è riconducibile al senso ovvio, scientifico e anatomico di “sesso biologico”.

Il sito dell’Università spiega che il corso, della durata di 2 anni, «ha il suo focus culturale e formativo negli studi di genere applicati all’analisi della comunicazione e dei media e alla produzione di contenuti a carattere informativo, culturale, di intrattenimento, di comunicazione istituzionale, politica e dei brand capaci di integrare una prospettiva gender sensitive».

E questa prospettiva, piuttosto ideologica e orientata, sarebbe volta a promuovere, «a livello culturale, un racconto e una rappresentazione delle identità di genere inclusivi e non discriminatori». Bello, anche se non vuol dire nulla.

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Tra gli esami previsti dal corso, si segnalano: Gender sensitive journalism, Analisi sociale della gender equality, Lingua e linguaggio di genere, Letteratura italiana in prospettiva di genere, Letterature migrazioni disuguaglianze, Statistiche di genere, Economia di genere, Cultura politica e gender empowerment.

Il mondo, insomma, riletto alla luce della più fumosa e decostruttiva teoria gender sulla sessualità.

«Il percorso formativo – si legge - si articola in un primo anno in cui studentesse e studenti apprenderanno la relazione tra processi democratici e politiche di rappresentanza fondata sul genere, le condizioni sociali, culturali, politiche ed economiche che producono gender inequalities».

Inoltre, come se non bastasse, è imprescindibile che i futuri dottori d’Italia siano edotti circa «il legame tra rappresentazioni mediali e riproduzione degli stereotipi di genere». Formazione culturale, ci chiediamo noi, o formattazione e appiattimento sul pensiero mainstream?

Il dubbio viene perché di gender al posto dell’arcaico e scientifico sesso si parla un po’ ovunque. E in nome del genere si vogliono unire i bagni maschili e femminili, si vuole autorizzare lo studente a cambiarsi il nome in base a delle sensazioni intime. O permettere allo sportivo maschio, che dichiara di sentirsi donna, di gareggiare con (biologiche) signore e signorine.

Se i sessi sono soltanto due, secondo queste teorie – purtroppo lo sappiamo bene - i generi sarebbero decine o forse centinaia. E ciò in base a criteri puramente soggettivi, arbitrari e indefiniti. Ma allora come fare scienza senza dei punti fermi che delimitino il campo della ricerca? Come stabilire infatti se Mario Rossi è queer, genderfee, asexual o semplicemente non binario?

Da tempo la diffusione della teoria gender sta soppiantando la biologia e le scienze affini. Come tra gli altri hanno riconosciuto il matematico ateo Piergiorgio Odifreddi o la filosofa femminista Adriana Cavarero.

Auguriamoci che l’università torni presto ai suoi antichi splendori. Ovvero: più scienza galileiana, meno sub cultura gender.

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