07/09/2023 di Luca Marcolivio

Meotti: «Ecco il business dietro la transizione di genere dei minori»

Da tempi non sospetti, Il Foglio è uno di giornali laici che più hanno trattato il tema dell’ideologia gender. A riguardo, Giulio Meotti, una delle firme di punta dal quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, ha scritto più di un articolo, approfondendo anche la tematica nella sua newsletter, dove ha trattato in particolare l’argomento degli interessi del Big Pharma intorno ai minori in transizione di genere. A colloquio con Pro Vita & Famiglia, Meotti ha spiegato che un’inversione di tendenza potrà avvenire essenzialmente ad opera di genitori e famiglie, visto che la scienza e la medicina hanno fatto ormai una scelta di campo.

Meotti, qual è, a suo avviso, il risvolto più originale o più scandaloso della pubblicazione della giornalista svedese Kajsa Ekis Ekman, che tratta della transizione di genere tra i minori?

«La questione del gender è una guerra mondiale. È un fenomeno che sta attraversando tutto l’Occidente, con gli Usa e il Regno Unito che rappresentano i due fronti più esposti. Ci sono indubbiamente delle motivazioni culturali e ideologiche profonde. Parliamo di una piccola teoria nata 20-30 anni fa nei campus della West Coast americana, che è diventata persino legge di Stato in molti Paesi europei, dalla Spagna alla Germania, per non parlare degli Usa, dove siamo a livelli ormai distopici, con la California che obbliga addirittura le scuole a tenere segreta la transizione di genere degli alunni ai genitori: un vero e proprio tentativo di distruggere la famiglia. C’è dietro, chiaramente, un fenomeno ideologico, segnato dal tradimento dell’establishment scientifico. Al di fuori di alcuni premi Nobel, di biologi superstar come Richard Dawkins, che si è scagliato contro il gender, il mondo scientifico si sta allineando a questa ideologia, come The Lancet e altre riviste specializzate. C’è poi dietro la questione degli interessi farmaceutici e sanitari. Il libro della giornalista svedese Kajsa Ekis Ekman, recensito sul magazine Emma (peraltro fondato da Alice Schwarzer, pioniera del femminismo tedesco) racconta il fenomeno inquietante dei giovani avviati alla transizione: questi ultimi sono i pazienti ideali, perché non sono malati, vanno di loro spontanea iniziativa e, quando iniziano il processo di transizione, devono poi continuare per tutta la vita. L’autrice riferisce come, nell’arco di soli tre anni, i bloccanti della pubertà rendano 27mila dollari a paziente. Tutto ciò escludendo gli interventi chirurgici e tutto il resto. È evidente che vi sia un interesse delle industrie farmaceutiche. Non voglio fare né il complottista, né sono un vecchio marxista anticapitalista ma che oggi ci sia la spinta di un certo mondo farmaceutico per sostenere questa ideologia, è certamente molto chiaro. Questo fenomeno del gender sta diventando una forma di contagio sociale e, oltretutto, economicamente rende molto. Vediamo numeri che schizzano alle stelle: 1000 casi di cambio di sesso dieci anni fa, oggi 100mila… C’è quindi una platea di pubblico che ha bisogno di essere sostenuta in maniera “chimica”».

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La componente farmaceutica, a suo avviso, è solo uno dei tanti attori del grande scenario lgbt o forse proprio il vero burattinaio occulto?

«Ritengo sia soltanto uno dei tanti attori. Liquidare il gender come un mero discorso di affari, di interessi e di vendita di farmaci sarebbe sbagliato perché significherebbe non considerare l’impatto profondo ideologico, politico, morale di questa gender theory che, paradossalmente, per alcuni sostenitori del gender non esiste e sarebbe solo un complotto della destra cattiva, reazionaria e conservatrice. L’ideologia è un altro dei fattori ed entra principalmente dalle scuole, spostandosi verso le università, quindi alle cliniche e all’ambito scientifico. È una sorta di idra dalle molte teste. Gli interessi di questa lobby farmaceutica li vediamo con “Pharma for Pride”, che partecipa con i suoi stand agli eventi arcobaleno dei mesi di giugno ogni anno. Quindi è un intreccio bestiale di interessi, ideologia e, purtroppo, di debolezza da parte di coloro che dovrebbero resistere. Se escludiamo poche femministe, che vogliono mantenere la differenza di genere, qualche intellettuale che ha voluto prendere posizione, qualche gruppo cattolico che porta avanti una battaglia, è disarmante vedere la mancanza di resistenza anche da parte della Chiesa Cattolica. Oggi il gender è il fronte culturale più importante. Se ormai hanno vinto la battaglia per l’uguaglianza lgbt e per le nozze gay, che sono state più o meno accettate in varie forme, in questa seconda fase non parliamo di adulti consenzienti che decidono di sposarsi e fare una surrogata ma parliamo di minori, di bambini, quindi è ancor più grave».

Non molti anni fa è emerso il caso giudiziario della clinica Tavistock di Londra: quando può aver inciso uno scandalo del genere sull’opinione pubblica? È forse possibile un’inversione di tendenza?

«Questo fenomeno lo possono fermare soltanto i genitori o, più in senso lato, il mondo delle associazioni, in collaborazione con le scuole. Lo vediamo in America, dove si riscontra una resistenza dei distretti scolastici e delle associazioni familiari, che si stanno opponendo in maniera radicale e feroce contro questa ideologia. La clinica Tavistock ha avuto impatto enorme: dalla Svezia, all’Olanda, abbiamo assistito a una piccola ma importante frenata legata agli studi e al fatto che non si capisce quali siano gli effetti a lungo termine di questi farmaci. Tuttavia, ritengo che, sulla medicina e della scienza, l’opinione pubblica tenda ad essere fideistica. Finché la scienza dirà che questa cosa va bene, la battaglia non verrà vinta in ambito scientifico. Verrà vinta dai genitori, i quali capiscono che c’è un problema di lavaggio del cervello, di lesione dell’infanzia. C’è un problema nel fatto che, a 12, 13 o 14 anni non puoi comprare le sigarette, non puoi comprare alcolici, non puoi votare, non puoi far parte di una giuria, eppure, in certi Paesi ti dicono che – contro la volontà dei tuoi genitori! – puoi iniziare un percorso di transizione di genere. I genitori comprendono che, se questa cosa passa, è la distruzione dell’unità familiare. Non so quanto possa avere eco uno scandalo medico, dal momento in cui i giornali sono bravi a tenerlo nascosto. Secondo me, la questione delle famiglie è più decisiva. Nelle scuole americane il fenomeno è gravissimo. Pensiamo a Elon Musk, che ha tirato fuori la vicenda bomba della figlia transgender alla quale hanno fatto il lavaggio del cervello in California. Certo, è vero che, in Occidente, le famiglie non versano in grande salute e che quel fronte potrebbe cadere».

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Siamo di fronte a un fenomeno di costume, per quanto importante, destinato a durare o a una vera e propria svolta antropologica epocale?

«Difficile dire se questo fenomeno si fermerà. Per ora sta andando avanti in maniera massiccia. Dipenderà molto dai governi: la Spagna è il caso emblematico di come un esecutivo, approvando una serie di norme estreme sulla vita umana, riesca a mandare allo sfascio una tradizione plurisecolare di ispirazione cattolica. Il caso spagnolo non lascia ben sperare: come è successo lì, potrebbe succedere anche in Italia. Negli Usa, se Biden verrà rieletto il prossimo anno, su questi temi avremo la saldatura del cerchio. Non è solo una questione di egemonia culturale gramsciana della società, conta anche avere le leve in mano da un punto di vista governativo e legislativo. L’Ungheria di Orban, al contrario, ha dimostrato che, quando hai un governo consapevole su questi temi, hai la capacità di importi sulla società anche se poi la cultura va da un’altra parte. È una situazione sul crinale: nei prossimi 3-4 anni si vedrà che piega prenderà».

 

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