11/11/2022 di Giuliano Guzzo

Master universitario Lgbt. Succede a Napoli

Chi sperava che in Italia, con il nuovo governo di centrodestra, il gender e tutto ciò che vi ruota attorno sparisse all’improvviso dagli orizzonti scolastici ed universitari, purtroppo, dovrà pazientare. Per quanto infatti l’esecutivo conservatore uscito vittorioso dalle ultime elezioni del 25 settembre abbia senz’altro il fine di depurare da iniziative se non ideologiche quanto meno di parte la didattica, ecco, il processo non è immediato; e delle insidie, per così dire, permangono.

Ne è un esempio un master dell’Università degli Studî Suor Orsola Benincasa (UNISOB) di Napoli in Gender equality che presenta più di un profilo di criticità. Se infatti l’espressione Gender equality da un lato rinvia – o potrebbe rinviare chi la legga - al principio di uguaglianza tra i sessi, dall’altro nel momento in cui si va a vedere il contenuto del master in questione emergono contenuti di ben altro tenore. Per rendersene conto, basta andarsi a leggere il bando di concorso.

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Più precisamente basta prendere l’articolo 4, che spiega come il corso in questione sia finalizzato, citiamo testualmente, «alla formazione di Specialisti in grado di svolgere attività di progettazione e consulenza in ambito pubblico e privato per l'implementazione delle politiche di contrasto alle disparità di genere attraverso la promozione della cultura della differenza e dell'accoglienza indicate come primo e fondamentale requisito per un radicale contrasto alla persistente diffusione della violenza e dell'emarginazione verso alcune categorie sociali tra cui le donne, le persone Lgbt, i disabili».

Visto? La condizione di discriminazione delle persone Lgbt viene messa sullo stesso piano di quella subita dalle persone disabili o dalle donne, con una parificazione che, se sul piano del principio – proprio per l’uguaglianza – è sacrosanta, su quello delle effettive discriminazioni e dell’emarginazione concretamente subita, ecco, appare già più opinabile. Ma andiamo avanti, perché sempre l’articolo 4 fa poi cenno all’urgenza di «contrastare il fenomeno della marginalizzazione di genere e l'omofobia». Che cosa si intenda per omofobia però non viene detto: magari anche solo l’affermare che la famiglia è quella composta tra uomo e donna, o che i bambini hanno diritto ad avere un padre ed una madre? Sarebbe molto interessante saperlo ma, sfortunatamente, il bando su questo sorvola.

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Su ciò su cui invece non sorvola sono i richiami di tinta arcobaleno che ricorrono nuovamente anche all’articolo 4, laddove, presentando le aree tematiche del master, si allude a non meglio precisati «storia e linguaggi della condizione femminile, immagini e rappresentazioni della condizione della donna, stereotipi femminili: vittime e aguzzine storia e linguaggi Lgbt; cultura della differenza e contrasto agli stereotipi di genere». Che cosa siano esattamente la storia e i linguaggi Lgbt, così come gli stereotipi di genere – magari il fatto che le bambine possano giocare con le bambole? -, anche qui non viene detto.

Morale, pur senza dubitare delle ottime intenzioni che animano chi ha ideato questo master dell’Università degli Studî Suor Orsola Benincasa (UNISOB) di Napoli in Gender equality – che avrà peraltro, e senza dubbio, relatori eccellenti, nessuno lo discute -, è difficile non percepire già nel linguaggio con cui i contenuti dei corsi sono presentati una sorta di sbilanciamento o, meglio, di omologazione alle rivendicazioni Lgbt.

Certo, si potrà pure replicare che chi si iscrive ad un master che si chiama Gender equality certe prese di posizione, per così dire, le possa anche mettere in conto: vero. Resta però l’amarezza per il fatto che una sede di confronto per antonomasia libero e vario come dovrebbe essere l’università possa rischiare di trasformarsi in una scuola di omologazione alla cultura dominante; l’ennesima, come se – tra scuole dell’infanzia, medie e superiori (allorquando intervengono, invitati da fuori, sedicenti “esperti”) -, non ce ne fossero già abbastanza in servizio.

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