15/11/2020 di Luca Scalise

Lettera di un papà a sua figlia, sulle proteste abortiste in Polonia

Protestare per l’aborto legale è una battaglia giusta? È a favore delle donne? È civile o umano?

Si tratta di argomenti delicati e non c’è miglior modo per affrontarli che riflettere sulle parole che questo papà ha rivolto in una lettera a sua figlia, che riteneva le proteste degli abortisti in Polonia dopo il divieto di aborto di bambini malati e malformati «una lotta sacrosanta, per tutelare la salute della donna e per risparmiare inutili sofferenze a bambini che nascerebbero sicuramente con gravissimi handicap e che morirebbero dopo poco, facendoli soffrire inutilmente».

«Io non resisto al mio amore per lei, e al bisogno di dirle la verità, che è l’unico vero bene», ha detto il papà, che ha, così, deciso di inviarle per mail una lettera, che leggiamo sul blog di Sabino Paciolla. «Dire a qualcuno “ti voglio bene” significa dirgli “tu non puoi morire”», perché «il significato della vita è altro rispetto al benessere e alla riuscita ed è più grande rispetto ai nostri progetti».

«Ti scrivo queste cose perché le proteste che riempiono le piazze della Polonia contro la sentenza della Corte Costituzionale ci chiedono di giudicare quello che lì sta succedendo». Abbiamo parlato a lungo anche noi, infatti, delle violente manifestazioni che hanno visto gli attivisti pro aborto e le femministe fare persino irruzione nelle chiese, vandalizzarle, interrompere le celebrazioni e minacciare i fedeli; prendendosela, insomma, con i cattolici e discriminandoli, anche se la battaglia pro life è di tutti coloro che credono che nessuna persona vada uccisa, non solo dei credenti.

«Ma perché l’aborto eugenetico, come ogni altro, è sbagliato? Tu trovi giustificazioni “terapeutiche”, che sembrano umane, in particolare il pericolo della nascita di un figlio gravemente handicappato, ma in sostanza tutto si riconduce alla presunta “inutilità” di un figlio che vive pochi anni o giorni, o che potrebbe essere gravato da sofferenze indicibili». E poi, se l’aborto fosse davvero “terapeutico”, curerebbe qualcuno, cosa mai successa.

Se a decidere se una vita sia degna o meno di essere vissuta è un uomo, «ci sarà sempre un uomo più forte che imporrà la sua legge, sarà sempre un uomo contro un altro, sarà sempre o una guerra o un contratto, una compravendita. Il giocattolo si rompe? Ne compro un altro, e quello rotto lo butto. Oggi una donna butta via il suo bambino, domani una legge dirà che dopo una certa età non saranno più garantite cure…ma intanto devi morire, e curarti sarebbe quindi inutile e costerebbe troppo».

E come si può parlare di “compassione”, se invece di curare si uccide, come avviene nell’eutanasia? E tutti quei manifestanti per l’aborto lo sanno, invece, che proprio questa pratica che loro chiamano “diritto delle donne” espone queste ultime a gravi rischi per la loro salute fisica e psichica, anche quando si tratta del cosiddetto “aborto sicuro”?

«Chi protesta vuole per le donne la libertà di uccidere il bimbo, che non può difendersi, in nome di un loro presunto “diritto” a fare ciò che vogliono. Ma se il diritto alla vita non è il primo diritto, nessun diritto avrà più ragione di resistere. Il “primo diritto” sarà sempre un capriccio nelle mani del più forte. E non ci sarà dignità per nessuno. Questa è la ragione per cui non è giusto non solo per i bambini con Sindrome di down, ma neppure nei restanti casi».

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