21/11/2022 di Manuela Antonacci

L’avvocato Daniela Bianchini (Centro Studi Livatino): «Carriera Alias si basa su finzione»

La questione della carriera alias rappresenta uno dei tanti e recenti tentativi di imporre, all’interno delle scuole italiane, la concezione liquida della sessualità. Una concezione che vorrebbe basare l’identità sessuale non sul dato biologico, bensì sulla percezione che si ha di sé come maschi, femmine o addirittura come “altro”. Nel caso del provvedimento in questione, tuttavia, non solo si tenta di imporre una teoria priva di basi scientifiche, ma lo si fa in modo del tutto arbitrario dal punto di vista giuridico. Con l’avvocato Daniela Bianchini, membro del Centro Studi Livatino, abbiamo cercato di capire il perché.

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Diverse scuole italiane stanno attivando la “carriera alias”, una procedura mai approvata dal Miur. Possiamo definirla illegale e pericolosa?

«E’ certamente una procedura illegale, in quanto si basa su un regolamento elaborato da privati, mai riconosciuto dallo Stato, che prevede l’inserimento, nel registro scolastico e nei documenti interni della scuola, di nomi di elezione non corrispondenti a quelli presenti nei documenti anagrafici degli studenti iscritti. Occorre osservare che i registri scolastici per legge sono atti pubblici finalizzati a documentare gli aspetti amministrativi della classe e quanto vi è riportato è espressione della pubblica funzione dell’insegnamento. Ne consegue che i dirigenti scolastici che l’hanno attivata hanno agito arbitrariamente e sono andati oltre le loro competenze, forzando l’autonomia scolastica. A tal proposito, penso che sia utile ricordare che l’autonomia scolastica non consiste nell’autodeterminazione delle politiche e dei percorsi formativi, bensì nella flessibilità di operare all’interno di un quadro normativo precostituito dal legislatore. Per rispondere al quesito sulla pericolosità, io ritengo che non rispettare le leggi e/o i limiti di competenza, costituisca sempre un potenziale pericolo perché crea confusione e causa conflitto. Abbiamo visto di recente cosa ha comportato in una scuola romana. Diversi genitori, resisi conto della illegittimità della carriera alias si stanno domandando come abbiano potuto i dirigenti scolastici introdurre a scuola una simile procedura. Questo può determinare una perdita di fiducia dei genitori nei confronti dell’istituzione scolastica e può incidere negativamente sugli studenti, che hanno invece bisogno di vedere negli insegnanti e nei dirigenti scolastici figure di riferimento».

 È davvero uno strumento per tutelare i ragazzi con disforia di genere?

«I promotori della carriera alias sostengono che sia uno strumento di tutela dei ragazzi con disforia di genere. Io non metto in discussione la bontà delle loro intenzioni. Credo tuttavia che sia uno strumento inadeguato a raggiungere lo scopo e potenzialmente rischioso per i minori, in quanto può rafforzare nei ragazzi più fragili la convinzione che il proprio malessere si chiami disforia di genere (e magari invece si tratta di altro) e che l’unica soluzione sia la transizione di genere. Non dobbiamo infatti sottovalutare la pressione psicologica che può determinare in un giovane o giovanissimo il farsi chiamare con un nome non corrispondente al proprio genere, tale da indurlo ad iniziare un percorso che comporta ‒ è importante ricordarlo ‒ l’assunzione di farmaci bloccanti della pubertà ed ormoni. Un percorso da cui poi difficilmente si torna indietro e di questo non sempre i ragazzi sono consapevoli. E se l’adolescente aveva dato un nome sbagliato al suo malessere? Il rischio è che per il resto della sua vita si troverà a fare i conti con quella scelta errata, come purtroppo stanno facendo molti giovani in diversi Paesi europei a noi vicini che - complici anche i social e certi insegnamenti sulla fluidità del genere introdotti in alcune scuole - sono stati indotti a credere di trovarsi in un corpo sbagliato ed hanno intrapreso il percorso di transizione di genere per poi pentirsi».

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 Ci sono, al contrario, delle “criticità educative”?

«Io ritengo innanzitutto che la scuola, per il suo fondamentale ruolo formativo, debba promuovere il rispetto delle persone e delle regole, favorire il dialogo, la comprensione e l’empatia, nonché mettere in risalto l’importanza della verità. Non basta però parlare ai ragazzi di diritti e doveri, di libertà fondamentali e di Costituzione nelle ore di educazione civica: bisogna dare il buon esempio. Attivare la carriera alias, sotto questo profilo, è quindi diseducativo perché di fatto è una procedura che viola la normativa sui registri scolastici. Un’altra criticità è data dal fatto che i ragazzi devono imparare che i problemi si risolvono con soluzioni adeguate, rispettose delle regole e dei diritti altrui, cosa che invece non viene fatto con la carriera alias. Innanzitutto perché, oltre ad una illegittima alterazione dei registri, crea anche un’ingiustificata disparità di trattamento fra gli studenti. In secondo luogo perché è una soluzione inadeguata ed inefficace. La carriera alias, nelle intenzioni dei promotori, dovrebbe aiutare i ragazzi con disforia di genere a sentirsi accettati dagli altri: è giusto che tutti i ragazzi si sentano accettati, ma l’obiettivo non va raggiunto attraverso il ricorso ad una procedura che si basa sulla finzione, bensì attraverso l’ausilio di professionisti esperti e la manifestazione di affetto e comprensione in famiglia come a scuola. I ragazzi che soffrono perché non si sentono adeguati devono sentire prima di tutto l’affetto di coloro che li circondano, devono capire che non solo soli. In questo modo è possibile anche prevenire e contrastare fenomeni di bullismo. Bambini ed adolescenti hanno bisogno di verità e non di finzione».

Ci sono stati casi in cui le scuole hanno adottato la carriera alias anche in assenza di richieste specifiche. Come mai?  Possiamo definirlo un atto “politico”?

«Non credo che ci sia un solo motivo. In alcuni casi, penso che ci sia stata superficialità o comunque mancanza di consapevolezza, sia da parte dei dirigenti scolastici che da parte di alcuni genitori. Non possiamo escludere che ci siano stati dirigenti scolastici che hanno attivato la carriera alias pensando così di tutelare gli studenti, senza però considerare tutti i possibili effetti negativi e senza considerare le problematiche giuridiche, anche di natura penalistica. Si tratta di una tematica certamente complessa e mi auguro che ci sia una maggiore prudenza, soprattutto da parte dei dirigenti scolastici e degli insegnanti, nonché una maggiore consapevolezza da parte dei genitori».

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