17/07/2021 di Giuliano Guzzo

In Italia una palestra per sole donne. Tra ipocrisia e cortocircuito dei pro Ddl Zan

Si trova a Mirano, centro di 27.000 anime in provincia di Venezia, ed è riservata alle donne: pardon, «a sole donne». Sì, perché quella di cui stiam parlando è una palestra – la prima in Italia addiittura – totalmente «rosa». Un’idea, prontamente finita all’attenzione delle cronache e nata con un fine nobile: il contrasto al body shaming, forma di discriminazione e di bullismo che vede spesso preso di mira il corpo femminile, per via di imperfezioni, cellulite, ecc. «Ogni donna deve sentirsi libera di essere ciò che si sente senza che nessuno possa per questo giudicarla», spiega l’ideatore di questa iniziativa. Che, per quanto certamente ispirata da principi di buona fede, lascia perplessi per almeno due ordini di ragioni.

La prima riguarda proprio l’efficacia che quest’idea potrà avere nel concreto. Ci spieghiamo: se lo scopo – di certo, lo si ripete, più che condivisibile – è quello di contrastare il body shaming, non è con misure che di fanno sanno di segregazione che il fenomeno verrà eliminato. La donna che, poniamo, sia in forte sovrappeso potrà infatti non essere oggetto di commenti sgraditi in una palestra senza uomini, d’accordo; ma, a parte che certe occhiate che feriscono così come certe critiche non sono certo esclusiva del sesso maschile, prima o poi quella stessa donna si ritroverà comunque in difficoltà sul posto di lavoro, in piscina, in spiaggia o quando l’afa estiva la costringerà a scoprirsi.

Insomma, la palestra «rosa» sa tanto di misura tampone, ma non di soluzione ad un problema che è anzitutto educativo e che va affrontato promuovendo a tutti i livelli una reale cultura del rispetto. Se cioè non si affronta il fenomeno nella giusta dimensione – che è quella educativa -, qualsivoglia tentativo di contenerlo sarà inevitabilmente destinato a fallire o, quanto meno, a risultare parziale. Con questo, si badi, non si vuol certo gettare discredito verso la palestra veneziana ma solo far capire che, se lo scopo è quello di fermare il body shaming, ecco, difficilmente il filtro che permetterà solo a clienti donne di frequentarla avrà una efficacia durevole.

A proposito di filtro, veniamo ora alla seconda perplessità di una palestra «rosa». Una perplessità legata, in questo caso, all’antropologia gender fluid. Probabilmente questi signori di Mirano non ci avranno infatti pensato, ma il fatto è che, nella misura in cui oggi costoro decidessero di escludere dall’ingresso nelle loro sale pesi i maschi che “si sentono donne”, possono rischiare una denuncia. Di sicuro, la rischieranno nel caso in cui passasse definitivamente in Parlamento il ddl Zan, che stabilisce in modo chiaro – si fa per dire - cosa sia l’identità di genere, ovvero l’«identificazione percepita e manifestata di sé, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione» (articolo 1 lettera d).

Ora, una identità «percepita» e indipendente «dall’aver concluso un percorso di transizione» significa davvero che un cliente biologicamente maschio che, dichiarando di “sentirsi donna” – un po’ come già avviene nei bagni dei college femminili negli Usa -, fosse interessato alla palestra «rosa» di Mirano, non solo potrebbe iscriversi ma, se fosse ostacolato nel suo intento, potrebbe adire le vie legali, trascinando in tribunale i gestori dell’attività. Lo ripetiamo: di certo i signori che hanno avuto questa idea, nata anzitutto contro il body shaming, non avevano considerato tale scenario. Che tuttavia, a legge Zan vigente, sarebbe neppure probabile, ma certo.

Del resto, in California centinaia di detenuti maschi son già riusciti a farsi trasferire addirittura in carceri femminili sulla base della loro identità di genere. Per non parlare naturalmente degli atleti trans che, pur avendo una struttura corporea, ossea, muscolare – e di fatto anche ormonale – agonisticamente privilegiata se nati maschi, poi ottengono il diritto non solo di allenarsi ma pure di gareggiare contro le donne. Insomma, l’ideologia gender ha già dato prova, a livello internazionale – e spesso con tanto di sentenze favorevoli emesse da fior di giudici e di tribunali - di non arrestarsi davanti a nulla. Figurarsi se si fermerà davanti alle porte di una palestra in provincia di Venezia.


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