20/01/2023 di Gloria Callarelli

Il parere dello psichiatra e psicoterapeuta: «Con Carriera Alias rischio psicosi nei giovani»

Ipersessualizzazione della società, gender e carriera alias. Quanto queste teorie possano provocare sconvolgimenti nelle menti dei più giovani e nell’intera società lo abbiamo chiesto al professor Adriano Segatori, psichiatra-psicoterapeuta, membro della sezione scientifica “Psicologia Giuridica e Psichiatria Forense” dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi.

Professor Segatori, parliamo di un tema di attualità che entra prepotentemente nelle scuole anche dei più piccoli. Quanto contribuisce a minare a livello psicologico la mente di un giovane una martellante campagna pro gender?

«Per quanto riguarda l’aspetto della sessualità, la campagna propagandista dell’ideologia gender continua a martellare l’opinione pubblica sulla questione culturale e sul condizionamento sociale dell’identità di genere. Ammessa e non concessa questa opzione, essa diventa un’arma a doppio taglio. Perché se è vero che la trasmissione di princìpi e di valori fondati su una visione “tradizionale”, “naturale” della società tendono a ripetere statuti consolidati e sperimentati della persona e delle sue modalità di relazione, è altrettanto vero, allora, che questa ideologia applica gli stessi meccanismi di condizionamento, ma con lo scopo di sovvertire ciò che da secoli è il centro fondativo e formativo di un organismo sociale, ovvero “la famiglia [come] comunità politica per eccellenza”, come diceva Pierre de Meuse. Dall’inizio dell’uomo, pur con modifiche di mentalità e di abitudini, la sessualità ha rispettato le regole di natura, senza le quali non ci sarebbe stato il processo generativo e la specie si sarebbe estinta per (in)naturale sterilità.

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Il reale pericolo della carriera Alias quale potrebbe essere?

«La cosiddetta “carriera alias” sarebbe – testualmente: “un profilo burocratico, alternativo e temporaneo, riservato agli studenti transgender. Un nome scelto viene quindi a sostituire il nome anagrafico, quello scritto nei documenti ufficiali e dato alla nascita in base al sesso biologico”. Questa definizione – sempre alla lettera – con l’obiettivo di evitare il “misgendering, ovvero l’uso di termini che fanno riferimento al sesso biologico e non all’identità di genere in cui si riconosce l’individuo, rischiando di essere offensivi”. E si torna all’irrealtà sopra menzionata. Una condizione che se non fosse tragicamente pericolosa per la sopravvivenza della società potrebbe rasentare la comicità. Una realtà psicotica in cui – sempre con le parole del citato psicoanalista Melman, nel suo L’uomo senza gravità – “ciascuno può pubblicamente soddisfare tutte le sue passioni e, quello che più conta, chiedere che esse siano riconosciute, accettate, addirittura legalizzate, ivi compreso il cambiamento di sesso. […] dal momento in cui qualcuno esprime una qualsiasi rivendicazione, ha il legittimo diritto – e la legislazione, se è in difetto, viene rapidamente modificata – di veder soddisfatta la sua rivendicazione”. Parole chiare, non interpretabili, e neppure in linea con certi deviazionismi psicoanalitici freudiani omologati e spesso assunti dal potere».

A livello teorico in quale categoria possiamo inserire la carriera alias?

«Questa cosiddetta “carriera”, di cui gli insegnanti sono complici nel perseguirla – e sul fallimento della scuola e sul tradimento della funzione educativa si dovrebbe costruire un saggio a parte – fa parte della “psicosi sociale”, volendo nuovamente citare Melman. Un’immersione in un’atmosfera caotica, fluida, instabile, senza limiti, senza riscontro con una realtà condivisa, dove la pulsione dell’Es prevale sulla ragione dell’Io, e dove il Super-Io è stato sostituito dall’arbitrio pulsionale del narcisismo individualista. L’annegamento in un magma di percezioni più o meno autoriferite, di un relativismo senza regole introiettate né limiti da rispettare, dell’uomo senza qualità – secondo la descrizione di Musil – permeabile ad ogni influenza, cedevole di fronte ad ogni suggestione, sensibile ad ogni manipolazione».

Ipersessualizzazione della società e pornografia. Le conseguenze dello stress sessuale in questa società.

«Una giovane sessuologa belga, Thérèse Hargot, ha scritto un saggio-inchiesta particolarmente interessante sulla mistificata liberazione sessuale dei giovani, introducendo i concetti di “porno-banalità, porno-conformismo”. Nel suo volume Una gioventù sessualmente liberata (o quasi) ha scritto: “La sessualità di un adolescente “normale” consiste ormai nel moltiplicare e diversificare le esperienze. [Perché] l’individuo crede di vivere una vita sessuale e affettiva svincolata dalle proibizioni, dalle regole e dalle istituzioni, ma in realtà di conforma in ogni punto e a sua insaputa”. Un percorso naturale di conoscenza fisica e psichica dell’Altro/a è stato interrotto dall’urgenza della prestazione, con oggettivazione della donna in primis. È il trionfo della “cultura pornografica generalizzata. [Proprio per il fatto che] la pornografia è un’industria, [e] ha il suo posto nel mondo del marcato”. Questa impostazione (dis)educativa e pornografica crea disordini sessuali? Non potrebbe essere diversamente: psicopatie e psicosi abbondano nelle categorie cliniche».

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