12/06/2025 di Redazione

Ecco i pericoli delle linee Lgbt che il Comune di Roma vorrebbe approvare

L’Assemblea Capitolina vorrebbe approvare una delibera per introdurre le “Linee Guida per il rispetto del principio di non discriminazione per orientamento sessuale e/o identità di genere”. Un titolo apparentemente neutro, persino rassicurante, che richiama la legittima esigenza di contrastare ogni forma di discriminazione se non fosse per quel “dettaglio” sull’identità di genere e soprattutto se non fosse per i molti, tanti, troppi, dettagli inquietanti contenuti in queste linee guida.

Linee guida che, appunto, sono in realtà un cocktail di ideologia gender, che toccano tanto la pubblica amministrazione e i suoi dipendenti quanto il mondo della scuola e persino quello sportivo. Insomma, un'entrata a gamba tesa praticamente su tutti quegli aspetti della società e del vivere quotidiano dove il Comune vuoi o non vuoi può in qualche modo intervenire. Dunque Gualtieri & Co. (e tra questi c’è dietro le quinte Marilena Grassadonia, a capo dell’Ufficio per i diritti Lgbt del Comune e già in passato presidente di Famiglie Arcobaleno), si apprestano a varare - anzi, a proseguire - un vero e proprio progetto politico di rieducazione culturale che sfrutta il potere normativo dell’ente locale per normalizzare l’ideologia gender in tutte le sue forme.

La “non discriminazione” come cavallo di Troia

La proposta nasce su iniziativa della Giunta Gualtieri ed è stata sostenuta e promossa da diversi esponenti della maggioranza di centrosinistra, in particolare dal Partito Democratico e da alcune forze che da tempo si battono per l’inserimento dell’agenda LGBTQIA+ nelle istituzioni pubbliche. Il documento parte da un assunto non dimostrato: l’esistenza di una diffusa e sistemica discriminazione omotransfobica nella Capitale, come se fosse un’emergnza cittadina dai numeri elevatissimi, che richiederebbe un intervento normativo strutturale. Ma proprio questa premessa apre le porte a una serie di provvedimenti che nulla hanno a che vedere con la tutela giusta e sacrosanta dei diritti individuali e molto invece con l’introduzione di nuovi dogmi ideologici potenzialmente obbligatori per tutti.

Le Linee Guida prevedono infatti percorsi formativi obbligatori per tutto il personale di Roma Capitale sui temi dell’identità di genere, del linguaggio inclusivo e dell’accoglienza delle “diversità”. Questo significa che dipendenti pubblici, educatori, insegnanti e funzionari comunali dovranno partecipare a corsi incentrati su concetti come “identità fluida”, “carriera alias”, “de-costruzione del binarismo sessuale”, “pronomi neutri”, “uso dello schwa” e così via. Non si tratta, dunque, di semplici raccomandazioni, ma di un’imposizione culturale vera e propria, con ricadute concrete nella comunicazione istituzionale, nella gestione dei servizi e perfino nel modo in cui si educano i bambini nei nidi e nelle scuole dell’infanzia.

Linguaggio neutro, carriera alias e censura

Uno dei punti più controversi della delibera è l’introduzione esplicita di linee guida per l’uso del linguaggio “non discriminatorio”, che comprende l’adozione di formule neutre, pronomi scelti dal singolo e l’eliminazione di riferimenti a “madre” e “padre” nei documenti ufficiali, sostituiti da “genitore 1” e “genitore 2”. Non siamo di fronte a un semplice aggiornamento terminologico, ma a una vera e propria rieducazione linguistica, che impone a funzionari e operatori pubblici di piegarsi a un lessico conforme all’ideologia gender. Chi non si adegua, potrebbe incorrere in sanzioni disciplinari, secondo quanto previsto dal sistema di monitoraggio affidato all’U.O. Diritti LGBT+ del Comune.

Un altro elemento particolarmente critico è l’introduzione della “carriera alias”, che consente a studenti e dipendenti di utilizzare un nome diverso da quello anagrafico nei registri scolastici o nei documenti interni. Questa misura, pur presentata come strumento di inclusione, in realtà crea confusione nei documenti ufficiali, mina la coerenza amministrativa e si presta a essere una prima tappa verso percorsi di transizione precoce nei minori. Sempre più studi internazionali stanno dimostrando gli effetti negativi delle transizioni sociali anticipate, specialmente quando avvengono sotto l’influenza di pressioni esterne o senza un adeguato coinvolgimento della famiglia.

Scuola sotto attacco: bambini cavie di sperimentazione ideologica

Tra le misure più allarmanti della delibera spicca l’intenzione di introdurre moduli formativi sull’identità di genere già nei nidi e nelle scuole dell’infanzia. Bambini da zero a sei anni verrebbero così esposti a contenuti controversi, in una fase della vita in cui hanno invece bisogno di riferimenti stabili, chiari e coerenti con la realtà biologica. Obbligare educatrici e insegnanti a frequentare corsi improntati alla de-costruzione dell’identità sessuale non è solo un attentato al buon senso pedagogico, ma una violazione del diritto dei genitori ad educare i propri figli secondo i propri valori. In questo quadro si inserisce anche la pericolosa possibilità che associazioni ideologicamente orientate possano intervenire direttamente nella vita dei minori, addirittura ipotizzando l’allontanamento dalla famiglia qualora i genitori si rifiutassero di avallare scelte sull’ “identità di genere” dei propri figli. Praticamente, dunque, c’è il rischio di calpestare il diritto alla genitorialità per presunte e supposte “discriminazioni” operate dalle famiglie.

Fondi pubblici e preferenze: una discriminazione rovesciata

Un ulteriore elemento critico riguarda l’allocazione delle risorse. Le Linee Guida prevedono la creazione di sportelli, spazi pubblici e fondi specifici destinati unicamente alla promozione della “cultura LGBT”, senza alcun criterio di bilanciamento con le esigenze di altre categorie fragili. Non si parla di famiglie numerose, di disabili, di anziani o di soggetti in povertà. L’intero impianto della delibera sembra orientato a garantire corsie preferenziali a una minoranza sulla base di criteri ideologici, non oggettivi. Il tutto in assenza di trasparenza sulla destinazione effettiva dei fondi e con il rischio concreto di favorire realtà associative che hanno già mostrato un atteggiamento aggressivo verso chi non si allinea alla loro visione del mondo. Questa dinamica configura una vera e propria “discriminazione al contrario”, in cui il pluralismo viene sacrificato sull’altare del pensiero unico arcobaleno, e la pubblica amministrazione si trasforma in megafono di una sola visione ideologica. È il trionfo della parzialità ideologica, pagato con le tasse di tutti.

La posta in gioco è altissima

Questa delibera rappresenta un pericoloso precedente. Se dovesse essere approvata, segnerebbe l’inizio di una nuova stagione in cui la Pubblica Amministrazione non solo non è più neutrale, ma diventa attivamente parte di una battaglia culturale contro la famiglia, contro il dato biologico della realtà e contro la libertà di educazione. L’Amministrazione di Roma, anziché tutelare il bene comune, si piega a logiche identitarie minoritarie e potenzialmente divisive. È necessario opporsi con decisione, nella consapevolezza che non si tratta solo di un documento amministrativo, ma di un’operazione culturale mirata. 

Le proteste di Fratelli d’Italia

Ed è quello che abbiamo già fatto come onlus - denunciando quanto queste linee guida siano pericolose - ed è quello che ha già iniziato a fare in particolare Fratelli d’Italia, con il gruppo consiliare romano e tramite la consigliera regionale del Lazio Maria Chiara Iannarelli, responsabile del Dipartimento Famiglia e Valori non negoziabili di Roma. Iannarelli, durante un sit-in di FdI davanti al Campidoglio, ha definito questa iniziativa del Comune come un «tentativo di rieducazione ideologica e una minaccia alla libertà educativa».

«Non è progresso, ma regime», ha dichiarato, sottolineando i rischi per lo sviluppo psicologico dei più piccoli e il ruolo educativo di genitori ed educatori, esclusi dai contenuti proposti. Ha poi denunciato l’influenza di «gruppi di attivisti radicali LGBT» che «colonizzano la giunta Gualtieri» e insegnano a bambini di 3 anni che «il sesso è un artificio assegnato alla nascita». Un approccio definito da Iannarelli come «antiscientifico e antipedagogico».

Fratelli d’Italia ha inoltre presentato un accesso agli atti per conoscere i contenuti dei corsi e ha depositato una mozione sul consenso informato. Iannarelli ha poi chiesto trasparenza anche sui costi, citando i 420.000 euro spesi per i corsi nelle scuole superiori, e ha ribadito: «Roma non può essere ostaggio di un’ideologia che divide».

 

 

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