12/02/2022

Eutanasia. Casini: «Serve massimo impegno scientifico, tecnico e organizzativo per le cure palliative»

Riportiamo qui di seguito un estratto del discorso pronunciato da Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita, durante il convegno Eutanasia: vite da scartare? Il dovere della società di fronte alla sofferenza”, organizzato proprio dalla Onlus e da Euthanasia Prevention Coalition con la collaborazione di Family Day, Centro Studi Livatino, Amci, Forum Ass. Sociosanitarie e Movimento per la Vita,  presso la Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale, a piazza Montecitorio.




Dall’aborto all’eutanasia. La linea è stata tracciata nel momento in cui si è consolidato, con la forza della legge, il rifiuto di portare lo sguardo sul figlio che inizia a vivere nel grembo materno. Adesso la cultura dello scarto pretende di ottenere la legalità e il consenso sociale alla fuoriuscita delle persone gravemente malate e disabili e addirittura a coloro che chiedono di essere uccisi a prescindere da malattia e disabilità.

Il piano della riflessione è culturale, sociale, legislativo e politico. Qui, e solo qui, siamo chiamati a giudicare, perché l’umanità dolente va sempre riconosciuta, accolta, amata. Abbiamo, però, di fronte ai problemi e alle dolorose vicende umane, la responsabilità di riflettere e trovare insieme risposte non dettate dalla cultura dello scarto (che cagiona la morte), ma della prossimità (che cura fino all’ultimo e accetta la morte).

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Il campo in cui deve essere riversato il massimo impegno scientifico, tecnico, organizzativo è quello delle cure palliative e di una adeguata terapia del dolore. È necessario rafforzare l’assistenza sanitaria anche a domicilio; garantire il diritto alle cure adeguate e fruibili; non imporre interventi sproporzionati e clinicamente non adeguati e prestare attenzione all’eventuale momento della desistenza terapeutica; ristabilire un’autentica alleanza terapeutica, anche attraverso la pianificazione condivisa delle cure; supportare economicamente chi ha più bisogno; aiutare le famiglie e sostenere i caregiver; migliorare le strutture ospedaliere e i pronto soccorso sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista della formazione umana e professionale degli operatori; alleggerire la burocrazia sanitaria e migliorare la qualità dei servizi; diffondere gli hospice. Questo è ciò per cui vale la pena lavorare tutti insieme. La cd “fine della vita” non è l’ultima fase della vita, ma è quella che riassume tutte le fasi della vita. Scartare volutamente la parte finale è scartare tutta la persona. È necessario un amore che non arretra ma avanza e avvolge. «Quando la malattia bussa alla porta della nostra vita affiora sempre più in noi il bisogno di avere accanto qualcuno che ci guardi negli occhi, che ci tenga la mano, che manifesti la sua tenerezza e si prenda cura di noi, come il Buon Samaritano della parabola evangelica», ha detto giustamente papa Francesco. È questo ciò di cui ha bisogno chi si trova a combattere con malattie inguaribili e disabilità gravi. Se non diamo risposte concrete e amorevoli alla sofferenza delle persone, la richiesta di morte si presenta come lo sbocco della disperazione, della solitudine, dell’indifferenza.

Si dice che quella di morire è una scelta individuale su se stessi e in quanto tale insindacabile. Si dimentica però che esiste una dimensione relazionale che inevitabilmente si riflette nelle scelte individuali. “Si può dimenticare il degrado del proprio corpo se lo sguardo degli altri è pieno di tenerezza”. Lo sguardo della società su malati e disabili dovrebbe essere uno sguardo di fratellanza, sempre pronto   ̶   anche quando l’altro ha smarrito la percezione della propria dignità  ̶  a riconoscere il valore della persona anche nelle condizioni di estrema dipendenza dagli altri. «La nostra malattia travolge intere famiglie che rischiano di ritrovarsi sole durante i giorni e le notti dell’assistenza continua. […] Abbiamo bisogno dello Stato, delle Regioni, del volontariato, della famiglia, degli amici e abbiamo bisogno anche di Dio. Solo così possiamo provare a far vincere la vita» (Adele D’Alonzo, “Come uno spartano alle Termopili”, Nuova 51, 2019). Viceversa, la mentalità eutanasica, in nome di un’autodeterminazione assolutizzata, recide il più elementare vincolo di solidarietà umana: quello che riconosce sempre e comunque l'uguale dignità dell'altro e promuove autentiche relazioni di cura.

L’auspicio è che la Corte Costituzionale non ammetta il referendum. Nel 1997 la Consulta rigettò la richiesta di referendum radicale – praticamente identica a quella accolta nel 1980 – che voleva abrogare la legge sull’aborto. Il motivo fu sostanzialmente questo: la tutela della vita non può essere abbandonata e fa parte dei principi necessari all’esistenza di un ordinamento democratico. L’auspicio è anche che in Parlamento coloro che più si fanno voce delle istanze della cultura dei veri diritti umani sappiano con intelligenza, coraggio e tenacia, ottenere disposizioni che siano espressione del massimo bene possibile ovvero che riducano i danni della cultura dello scarto che si insinua anche nelle leggi e, più in generale, nel diritto.

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