09/06/2025 di Redazione

Fine Vita: non esistono vite di Serie B, una legge cambierebbe l’intera società. L’audizione di Toni Brandi alla Regione Sardegna

La scorsa settimana il presidente di Pro Vita & Famiglia onlus, Antonio Brandi, è stato audito – partecipando in videocall da remoto – dalla 6a Commissione (Salute e politiche sociali) del Consiglio Regionale della Sardegna. Il tema è stato la proposta di legge n. 59 sulle “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito”. Dunque, come già accaduto in altre regioni italiane, tramite la proposta di legge spinta in particolare dall’associazione Luca Coscioni e accettata da molte amministrazioni di sinistra, si sta iniziando a discutere in seno alla Regione Sardegna della possibilità di fornire la «morte di Stato» ad ammalati, fragili e anziani, come ha sottolineato lo stesso Brandi nel corso della sua audizione.

Il presidente di Pro Vita & Famiglia onlus ha in particolare posto l’accento su alcuni punti: la vera libertà per le persone malate; le vite di serie A e di serie B che si verrebbero a creare; come una legge del genere possa influire su tutta la società; il vuoto normativo che non dovrebbe essere “riempito” con la morte e le cure palliative. Un tema di estrema attualità non solo a livello locale - in Sardegna - ma anche e soprattutto a livello nazionale, se pensiamo che è previsto per metà luglio 2025, dunque tra poco più di un mese, l’inizio in Parlamento delle discussioni proprio sul tema del fine vita, anche se attualmente ancora non sembra ci sia un testo unico di riferimento.

 

Pubblichiamo di seguito l’intervento integrale del presidente Brandi




Gentili Membri della Sesta Commissione Salute, mi permetto di sottoporvi alcuni spunti che, spero, serviranno a ben riflettere sulle conseguenze di una legge che legalizzi il suicidio medicalmente assistito.

La disperazione non è libertà
“Chi vuole morire non è lucido. È solo. DJ Fabo nella sua ultima lettera testamento scrisse: “I miei giorni passano nella sofferenza e nella disperazione, non trovando più senso nella mia vita. E il suo fisiatra dichiarò “Nessuno è stato in grado di dare a Fabo la motivazione sufficiente a continuare ad amare la sua vita”. DJ Fabo voleva veramente morire? Era libertà o disperazione? Anch’io, malato di cancro al pancreas, ho conosciuto la disperazione, dolori insopportanbili e la paura di continuare a vivere e volevo farla finita.  Poi ho capito che quando si ha più paura della vita che paura della morte, non si è lucidi. Non c’è vero libero arbitrio. Oggi sono qui grazie a cure palliative, amore e presenza di mia moglie, parenti e amici.  Se ci fosse stata una legge per il suicidio assistito, avrei potuto commettere un atto di cui non mi sarei poi mai potuto pentire.

Una legge sulla morte cambia tutta la socità

Decidere di morire non riguarda solo la persona. Riguarda tutti. La vita è anche un bene sociale, non solo personale. Lo Stato ha il dovere di tutelarla. Legalizzare il suicidio assistito non è un atto neutro: cambia la cultura, crea precedenti e apre a derive. Dire che il suicidio è lecito rischia di farlo apparire normale, persino auspicabile per chi si sente di troppo. Bisogna bloccare questa falsa narrativa che vuole fare di pochi casi estremi e mediaticamente potenti un’emergenza nazionale per poter forzare una legge applicabile a tutti. Non si possono fare leggi generali sulla base di eccezioni estreme.

Non esisto vite di Serie B

Diremmo mai a un ventenne depresso o a nostra madre disperata ‘Puoi morire’? No? Allora non è un diritto. Se fosse davvero un diritto, dovrebbe valere per tutti.  Ma appunto nessuno ha il coraggio di dirlo a un giovane sano ma depresso. Perciò non è un diritto: è un modo per dire a disabili, malati o anziani che la loro vita vale meno.  D’altronde, se l’autodeterminazione fosse davvero un diritto assoluto, dovremmo lasciare suicidare i depressi e mettere a digiuno gli anoressici.

Prima le cure, poi ogni discussione

La prof.ssa Vittorina Zagonel, oncologa ed ex direttrice dell’Istituto oncologico veneto, ha assistito migliaia di malati terminali. Nessuno le ha mai chiesto di morire. Perché nessuno era solo: medici, psicologi, infermieri e assistenti spirituali erano sempre presenti. Quando si è accolti e amati, prevale il desiderio di vivere. Non è teoria, è vita vissuta. Le cure costano, è vero ma non si può risparmiare quando sono in gioco vite umane.  Una fiala letale costa pochi euro, mentre mesi di assistenza costano di più ma lo Stato dovrebbe eliminare la sofferenza e non chi soffre. Parlare di “diritto alla morte” mentre si negano antidolorifici e assistenza è pura ipocrisia. La vera umanità resta accanto al malato, anche se costa. Quando una società pesa la vita con il bilancino dei costi, ha già perso se stessa. Perché chi mette un prezzo alla vita, è pronto a sacrificare chiunque. Senza cure non c’è libertà, solo solitudine, dolore e abbandono. Ricordiamo che il 77% dei pazienti adulti aventi diritto non riceve cure palliative in Italia. Per i bambini va ancora peggio: tra l’82 e l’85% è escluso dalle cure.  Non possiamo cedere alla fredda logica del mercato che tratta le persone come cose, come oggetti da scartare. Ma la vita non è una voce di bilancio: è un diritto. Senza cure vere, la “scelta” è solo un inganno crudele, mascherato da libertà.

Una società giusta non abbandona i deboli

Aiutare a morire non è compassione. È resa.  Dario Mongiano è uno dei quattro malati terminali che si sono presentati alla Consulta per dire che vogliono vivere, non morire. Ha detto “Se restassi solo e disperato e lo Stato mi offrisse il suicidio, potrei compiere un gesto fatale e definitivo da cui non si torna indietro. Perdere il senso della vita significa morire.  I fragili non vogliono morire, ma ritrovare un senso alla loro vita. Non vogliono essere lasciati soli. Un altra testimonianza. A Trieste, un anziano in hospice era molto depresso. Gli mancavano le carte, gli amici, il sabato. I medici lo capirono. Ogni sabato gli ricrearono quel piccolo rito. Non fu una terapia miracolosa. Fu umanità. E quell’uomo… tornò a vivere. Ma ci rendiamo conto che il nostro Stato spende 30 miliardi di euro l’anno nella produzione di armi. Basterebbe un quarto di questa cifra per garantire cure e sollievo a quasi tutti i malati. Non è impossibile salvare le vite. È che non sembra una priorità per lo Stato. Una società giusta non investe nella morte. Investe nella vita.

Il vuoto normativo va riempito con la Vita, non con la morte

È sconvolgente come siamo tutti incorniciati in questa falsa narrativa sul “vuoto normativo”, dopo la sentenza 242/2019 della Consulta. L’articolo 28 della legge 87 è chiaro: la Corte non vincola il Parlamento né impone scelte politiche. Se c’è un vuoto, è dovuto alla mancata applicazione della legge 38, che garantisce cure palliative e sostegno medico e psicologico a malati e anziani. Il vero vuoto normativo va colmato con la Vita e le cure, non con la legalizzazione della morte. Salvare chi è in pericolo è un istinto condiviso. Sul Golden Gate Bridge di San Francisco, un passante vide un uomo pronto a buttarsi. Gli parlò per un’ora. L’uomo non si suicidò e desistette. Questo è il cuore di una società umana. Il vero sentire comune non spinge alla morte, ma tende la mano alla vita. Se offriamo la morte a chi soffre, smettiamo di cercare soluzioni. La medicina serve a curare, non a anticipare la morte. Se ci fossimo arresi davanti alle malattie inguaribili, oggi non avremmo le cure del dolore né molte terapie contro il cancro. La medicina evolve: se ti arrendi, domani potrebbero scoprire una cura che ti avrebbe salvato. Legalizzare la morte non colma un vuoto: lo crea. In Olanda, dopo l’eutanasia, gli investimenti nelle cure palliative sono crollati. Lo ammise la stessa ex ministra Els Borst. Quando la morte diventa una scorciatoia, si spegne la speranza e si smette di curare.

La dignità non si perde. Si riconosce

Parlare di “morire con dignità” è un errore se pensiamo che la dignità dipenda da salute, forza o autonomia. Un neonato ha meno dignità perché dipende dai genitori? No. E lo stesso vale per chi è malato o disabile. La dignità è intrinseca ad ogni essere umano, anche nel momento più fragile. Non si misura, non si perde. La vera dignità è essere curati, rispettati e amati fino alla fine.  Non è la malattia che toglie la dignità ma è l’abbandono. La risposta è la cura, non la morte. Una società giusta accoglie e cura anche nella fragilità, non elimina il debole.

La tragedia nascosta del suicidio: cosa ci insegna la Consulta sulla pressione sociale dietro la “scelta”

La Consulta, con la sentenza 242/2019, ha riaffermato il diritto alla vita come valore fondamentale e non ha assolutamente riconosciuto un diritto al suicidio. Ha solo stabilito che chi assiste al suicidio non è punibile se ricorrono quattro condizioni: persona lucida, dipendente da sostegni vitali, malattia “irreversibile” e sofferenze insopportabili, fisiche o psicologiche. D’altronde, la depenalizzazione di un crimine non significa il diritto a commetterlo.  Ma proviamo a considerare queste condizioni con attenzione e realismo. Cosa significa “irreversibile”? La medicina non è una scienza esatta. Ci sono diagnosi smentite, miglioramenti inattesi, risvegli improvvisi Solo la morte è irreversibile e una volta arrivata non c’è ritorno. La Consulta ha equiparato il dolore fisico a quello psicologico, ma come si misura il dolore interno, il dolore dell’anima? Se basta questo per autorizzare la morte, nessuno è realmente al sicuro.  Inoltre, chi teme più la vita che la morte è disperato, non ha libero arbitrio.

Detto questo, vi sono punti che meritano condivisione. La Consulta ha ribadito l’obbligo di garantire cure palliative, che non sono solo antidolorifici, ma un’efficace rete di assistenza medica e psicologica, prima di qualsiasi decisione. Inoltre le sentenze 66/2025 e la 135/2024 mettono in guardia dal rischio che la legalizzazione del suicidio assistito esponga malati, anziani e fragili a pressioni sociali e abusi e soprattutto la 66/2025 avverte sui seguenti pericoli.  In situazioni di solitudine o sofferenza, la “scelta” di morire può essere sollecitata da terzi, anche per interessi personali. Questo grave pericolo rende indispensabile una rete di tutela e accompagnamento efficace. Il cosiddetto “diritto a morire” altrimenti rischia di trasformarsi in un “dovere di morire” per chi si sente un peso per la famiglia o la società. La Corte denuncia questa pressione sociale indiretta e sollecita un intervento urgente dello Stato. Occorrono cure palliative ampie, assistenza domiciliare, sostegno psicologico e lotta all’isolamento. Oggi troppi sono esclusi. Senza un vero sostegno, la morte diventa una tragica scorciatoia, non una scelta libera.

La forza dell'esperienza. Il piano inclinato: dopo i malati, tocca a tutti

“Una volta legalizzata, la morte dilaga. E non si torna indietro.” In Canada i suicidi assistiti sono passati da 1.982 (nel 2016) a 15.343 (nel 2024). Non dimentichiamo la forza dell’esperienza. Solo 12 paesi su 194 nel mondo hanno legalizzato la morte.
In Belgio, Olanda e Canada da malati terminali ora si uccidiono depressi, disabili, malati psichici, anoressici e persino chi si sente stanco di vivere. In Olanda 1 eutanasia su 5 avviene senza consenso, questo è il risultato di uno studio dell’Università di Ottawa prodotto con dati ufficiali. Riflettiamo 1 su 5 uccisi senza consenso!  Sempre in Olanda, Noa Pothoven, 17 anni, depressa per abusi sessuali, è stata uccisa legalmente. Stephanie Packer, madre californiana di 4 figli, si vide negare la chemio dall’assicurazione, che le offrì invece l’eutanasia.  Questo non è progresso. È un abbandono certificato dallo Stato. Qualcuno penserà questo non succederà mai in Italia....ma a 11 anni, oggi, un bambino può ricevere farmaci per fermare la pubertà. Non è fantascienza: è successo a Firenze, al Careggi. Chi, 10 anni fa avrebbe mai pensato che sarebbe mai accaduto in Italia?

Concludo con ultime tre domande:

- Ma uno Stato che, invece di curare, risparmia eliminando i più fragili... è ancora uno Stato civile ed umano?

- Vogliamo davvero che l’Italia sia il 13° Paese al mondo a legalizzare la morte, contro la coscienza collettiva mondiale?

- I suicidi tra i giovani aumentano, il 77% dei malati non riceve cure… E lo Stato, invece di prevenire il suicidio, lo vuole facilitare?

 

Vi prego, non perdiamo l’umanità, scegliamo la vita!  Chiedo a questa illustre Commissione di riflettere bene prima di stravolgere per sempre il valore della vita nel nostro Paese. Grato per l’attenzione dedicata e con profondo rispetto per il delicato compito che Vi attende, porgo i miei più distinti saluti.

 

 

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.