In Canada, oggi, quasi una persona su venti muore per mano dello Stato. Secondo i dati ufficiali relativi al 2023, 15.343 canadesi sono morti attraverso il MAiD – acronimo di Medical Assistance in Dying – che indica il suicidio assistito o l’eutanasia su richiesta. Si tratta del 4,7% di tutti i decessi nel Paese. In altre parole: una morte su venti è stata causata intenzionalmente da un medico, con l’autorizzazione dello Stato e ciò rappresenta la 5a causa di morte in tutto il Paese.
Numeri in crescita vertiginosa
Nel 2016, anno dell’approvazione della legge, i decessi per MAiD furono “solo” 1.018. Oggi, a meno di dieci anni di distanza, sono oltre tredici volte di più. Nel 2022, infatti, il numero delle morti assistite era già salito a 13.241, con un’incidenza del 4,1% su tutti i decessi. In quell’anno, l’eutanasia è ufficialmente diventata la quinta causa di morte in Canada, superando malattie gravi come il diabete, l’ictus e le patologie epatiche. In molte province, come il Québec, si è registrata un’accelerazione ancora più allarmante, con un trend costante di crescita anno dopo anno.
I “motivi”: povertà, solitudine, disabilità
Non si tratta solo di persone con malattie terminali. Una parte crescente delle richieste di morte assistita riguarda soggetti affetti da patologie croniche, disabili, anziani soli e persino persone che denunciano povertà, abbandono e disagio psicologico. In numerosi casi documentati, cittadini canadesi hanno dichiarato di scegliere il MAiD per “non essere un peso per la famiglia”, per l’assenza di supporto adeguato o per la difficoltà ad accedere a cure palliative di qualità. Altri hanno raccontato di non riuscire più a pagare l’affitto o il supporto sanitario e di aver scelto la morte come unica via d’uscita.
Società canadese divisa
Un tempo presentato come atto di compassione, oggi il MAiD divide profondamente la società canadese. Un numero crescente di intellettuali, medici e opinionisti denuncia il rischio che l’eutanasia stia diventando una “soluzione sociale” al disagio. Il quotidiano “The Times” ha parlato apertamente di “omicidio sociale”, sostenendo che il Canada non è più un modello da seguire ma un pericoloso esempio da cui guardarsi. La diffusione capillare del MAiD – ormai disponibile anche nelle case di cura e negli ospedali psichiatrici – viene vista con crescente preoccupazione anche da molte famiglie e associazioni per i diritti dei disabili.
Un campanello d’allarme
Il caso canadese deve suonare come un campanello d’allarme anche per l’Italia. A metà luglio, infatti, il Parlamento dovrebbe iniziare a discutere un disegno di legge proprio sul tema del fine vita e voci (che per ora purtroppo sembrano confermate) lasciano intendere che anche il centrodestra sarebbe disposto ad arrivare a una “quadra” per presentare un testo unificato. Ma il percorso del Canada dimostra che non esistono limiti che reggano nel tempo: ciò che nasce come eccezione rischia di diventare regola. E ciò che inizia come “ultima scelta” rischia di trasformarsi in una pressione implicita (o esplicita) sui più deboli, i più poveri, i più fragili. In una società che rifiuta la sofferenza, la disabilità e l’anzianità, la “libertà di morire” diventa una forma subdola di selezione sociale.
Una cultura da invertire, non da imitare
Oggi il Canada, quindi, ci mostra cosa accade quando lo Stato abdica al dovere di custodire ogni vita e sceglie invece la strada della morte come risposta al disagio e alle sofferenze. Anziché rafforzare le cure palliative, i servizi di prossimità, il sostegno agli anziani e ai disabili, si offre la morte come unica soluzione. L’Italia ha ancora il tempo – e il dovere – di fare una scelta diversa: una scelta di civiltà che metta al centro la cura, non l’eliminazione.