10/02/2022

Eutanasia. Boscia: «Medici cattolici in trincea per ribadire dignità della Vita»

Riportiamo qui di seguito il discorso integrale pronunciato da professor Filippo Maria Boscia, presidente nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, durante il convegno “Eutanasia: vite da scartare? Il dovere della società di fronte alla sofferenza”, organizzato da Pro Vita & Famiglia Onlus ed Euthanasia Prevention Coalition con la collaborazione di Family Day, Centro Studi Livatino, Amci, Forum Ass. Sociosanitarie e Movimento per la Vita,  presso la Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale, a piazza Montecitorio.




Stiamo parlando oggi di medicina e sanità ai confini della vita. In queste delicate tematiche è bene definire il ruolo del medico per realizzare un’attenta e ponderata riflessione sulle delicate questioni che riguardano il “prendersi cura delle fragilità” anche quando non si può più guarire.

I medici cattolici, al fine di evitare ogni possibile fraintendimento o dubbio, ribadiscono la loro stabile e immodificata posizione, che è quella per la quale la loro associazione (AMCI) si è sempre battuta e continuerà a battersi con coerenza, senza dubbi e senza remore, e sulla quale non si accettano compromessi.

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“Ai medici non può essere assegnato il compito di causare o provocare la morte. Essi hanno l’obbligo di indicare la proporzionalità delle cure, avendo un attento sguardo alla storia naturale della malattia”. ha ribadito anche dalla dichiarazione dell’Assemblea Medica Mondiale….

“Tutti i medici cattolici rappresentano l’assoluta incompatibilità tra l’agire medico e l’uccidere, perché chi esercita la difficile arte medica non può scegliere di far morire e nemmeno di far vivere ad ogni costo, contro ogni ragionevole logica. I medici cattolici ribadiscono la necessità e l’urgenza di attuare su tutto il territorio nazionale le grandi potenzialità della legge 38/2010 su Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore e che ciò va realizzato in modo omogeneo ed universalistico. Sottolineano l’importanza di queste cure e la necessità di mantenere i malati terminali in un percorso esistenziale, sostanziato al massimo da rapporti umani ed affettivi”.

I medici cattolici sono in trincea contro l’eutanasia e il suicidio assistito! Ritengono assolutamente incompatibile ogni intervento di assistenza medica al suicidio assistito con i valori etici e la deontologia professionale. Ribadiscono che è proprio l’integrità del medico a rendere inconciliabile l’arte medica con il suicidio assistito o qualsivoglia forma eutanasica! Ribadiscono che non vi sono alternative perché la medicina è sempre per la vita e a favore della vita, senza eccezioni; ribadiscono che la vita deve essere sempre accompagnata, senza alcun disimpegno, senza alcun abbandono, con delicatezza, fermezza e impegno nel continuare a curare le fragilità, anche le più gravi, definite in mal modo da alcuni terminali, adempiendo con sollecitudine e proporzionalità, ogni azione finalizzata al prendersi cura (care), in special modo quando non si può guarire.

L’AMCI dunque moralmente non può accondiscendere in nessun caso a richieste eutanasiche da parte dei pazienti, ed i medici cattolici saranno sempre osservanti della propria coscienza. E questo, nell’interesse del sofferente, varrà sempre, sia ben chiaro, anche al di là delle nuove interpretazioni dell’art. 17 del Codice di deontologia medica.

Anche l’Associazione Medica Mondiale (WMA) ha affermato che "Il suicidio assistito dai medici, come l'eutanasia, non è etico e deve essere condannato dalla professione medica. Laddove l'assistenza del medico è intenzionalmente e deliberatamente diretta a consentire a un individuo di porre fine alla propria vita, il medico agisce in modo non etico. Tuttavia il diritto di rifiutare le cure mediche è un diritto fondamentale del paziente e il medico non agisce in modo non etico anche se il rispetto di tale desiderio comporta la morte del paziente". Perciò la World Medical Association ha ribadito la sua forte convinzione che l'eutanasia sia in conflitto con i principi etici di base della pratica medica e la WMA incoraggia fortemente tutte le associazioni mediche nazionali e i medici ad astenersi dal partecipare all'eutanasia, anche se la legge nazionale lo consente o lo depenalizza a determinate condizioni.

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I medici cattolici italiani, pienamente partecipi della vita democratica del Paese, sono e saranno sempre impegnati nella battaglia per i diritti umani inviolabili. Per questo ad alta voce difendono e promuovono la libertà di coscienza degli operatori sanitari e riflettono sulla dimensione spirituale dell’uomo, sperando che egli possa liberamente operare con oculate scelte, anche di fede, rispettando sempre i significati autentici della vita.

Alla società, alla politica e soprattutto ai cittadini chiedono di operare in scienza e coscienza! Scoprire “l’altro” come “persona” corrisponde ad una particolare competenza, ad una migliore ricerca soprattutto in questo momento storico nel quale sempre più di frequente si intravedono le tante solitudini, quelle del paziente, quelle del medico, quelle della società, ma soprattutto la solitudine della coscienza.

E’ proprio la coscienza a farci percepire e a farci accettare la condizione di essere fascianti, bendanti, addolcenti, attenuanti, mitiganti, lenenti, consolanti, medicanti.

E’ più facile accettare di curare il bisogno ma è più difficile impegnarsi nel dono totale. Enzo Bianchi ha coniato il termine “medicante”, ovvero chi medica, interprete di una chiamata alla fraternità, alla cooperazione, al sostegno, all’incoraggiamento, all'arricchimento vicendevole. Perciò anche la coscienza e la sua autonomia si inseriscono in un cammino comune che sostiene e incoraggia medici ed operatori sanitari. E’ un lavoro di incontro che genera una cultura capace di animare una prassi di vita buona. La relazione di cura, che è parte inscindibile del percorso di cura, significa proprio vigilare sul proprio saper curare.

Comunicare significa guardare la vita, guardare ai viventi e guardarsi vivente. Vedere e udire, ma anche udire senza vedere, o vedere senza udire. Mi piace a tal proposito intravedere il sipario della conoscenza e del fare. La visione di un sipario si apre ad una profondità inedita, allo sforzo di tenere insieme logiche consequenziali e sempre nuovi orizzonti in medicina, per imparare lezioni di arte medica, per guardare il mai visto prima o il già visto: allenare lo sguardo perché gli operatori sappiano esplorare sia il già visto, che ci conferma e ci corrobora, ma anche il mai visto, prima che incrini il nostro sapere, per aggiungere altro sapere, in un meticciato culturale che mai si esaurisce.

Questo significa “toccare il dolente”, prenderlo per mano ed accompagnarlo anche sugli aspri sentieri della vita, con sensibilità, con-passione, con-prensione e con empatia. La visione globale della complessità ci insegna a vedere il tutto nell’altro, cioè a rileggere la persona, a rileggerla con una particolare competenza e con un’inedita attitudine di ricerca. Esperienze di questo tipo possono radicalmente cambiare la sanità, rompere quelle incrostazioni alle quali la nostra sanità ammalata si è abituata, vedere la complessità dei pazienti difficili, di quelli che nessuno vuole ascoltare, ad esempio dei pazienti “terminali non terminali”, dei pazienti psichiatrici, dei neurolesi e motulesi, dei quali non riusciamo più a contestualizzare la patologia perché non siamo più capaci di esplorare la soggettività del malato per conoscere oltre la malattia del corpo, il dolore morale.

In questo momento, come se fossimo in uno spazio teatrale dovremmo fare esercizi nuovi! Avere la vertigine di accogliere l’invito a fare di più, ad esplorare le ibridazioni bioprofessionali e ad inquadrare scenari ed inquadrature diverse, le più ampie possibili, che siano sempre straordinarie metafore delle piccole e delle grandi cose.    Ricordiamoci di ciò quando siamo accanto a quel malato che la medicina sa di non poter guarire, sta per abbandonare e sta per avviare allo scarto.

In questi eventi e in queste circostanze ricordiamoci anche che cose piccole possono non essere piccole cose.

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