29/11/2023 di Giuliano Guzzo

Ennesimo testo pro gender dell’Oms

Metti che capita un’altra pandemia. No, nessuno vuole essere iettatore semplicemente si tratta di una eventualità che non si può escludere; di certo non la esclude – e la cosa fa abbastanza impressione, dopo l’esperienza che ci siamo appena lasciati alle spalle – l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Tanto che, a seguito di quello che la stessa Oms ha definito un «catastrofico fallimento da parte della comunità internazionale nel manifestare solidarietà ed equità in risposta alla pandemia da Covid-19», è stato elaborato dalla stessa Organizzazione, precisamente dal suo Ufficio di Presidenza, uno schema di convenzione e trattato, datato giugno 2023.

Il lavoro è iniziato quasi due anni fa, precisamente il 1º dicembre 2021, quando i membri dell'Oms hanno raggiunto un consenso per avviare il processo di elaborazione e negoziazione di una convenzione, di un accordo o di un altro strumento internazionale ai sensi della Costituzione dell'Oms stessa al fine di rafforzare la prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie. Ne è uscito, lo scorso giugno, un documento di circa 40 pagine.

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Tale documento vuol anche essere, secondo chi l’ha redatto, una sorta di vademecum di buone pratiche in termini di preparazione e risposta ad un eventuale altra fase pandemica. Considerando che cosa è accaduto a diversi Paesi, in particolare l’Italia - che aveva iniziato il fatidico 2020 con un piano pandemico vecchio e non aggiornato -, non è che la preoccupazione dell’Oms sia del tutto campata per aria, intendiamoci. Basti pensare che cosa ha messo nero su bianco, in una relazione di 65 pagine pubblicata dal Guardian, il generale dell’Esercito Pier Paolo Lunelli, secondo il quale almeno 10.000 vite si sarebbero potute salvare, se il nostro Paese avesse avuto un piano pandemico aggiornato.

Ben venga, dunque, tutto sommato un invito dell’Oms a non abbassare troppo la guardia, ora che la situazione pare sotto controllo. Il punto qui però è un altro; anzi ben altro. Il punto infatti è che questo invito, come si diceva, si è tradotto in un trattato che presenta vari nodi critici, a partire da questioni legate alla sovranità degli Stati, che verrebbe pesantemente erosa da un documento che mira – lo citiamo testualmente - ad essere «legalmente vincolante». Ma questo è ancora nulla. Se si vanno a spulciare le pagine di tale trattato, ci si imbatte una decina di volte in una parola tristemente familiare ai lettori di Pro Vita & Famiglia: gender.

Beninteso: non occorre andare a spulciare tra le note del documento, dal momento che già a pagina 5 dello stesso, all’articolo 3 (dedicato ai principi generali), si parla di «rispetto dei diritti umani», del «diritto al godimento il più alto standard di salute raggiungibile» e – adesso arriva il piatto forte – «della necessità di misure specifiche per garantire la non discriminazione, il rispetto per la diversità, la promozione dell’uguaglianza di genere e la tutela delle persone in situazioni vulnerabili».  Ora, non serve esser particolarmente prevenuti per cogliere in simili espressioni un forte sapore femminista, abortista e arcobaleno. Perché anche se, è vero, da un lato nel trattato non si parla apertamente di aborto né risulta esserci la sigla Lgbt, dall’altro «il rispetto per la diversità» e «la promozione dell’uguaglianza di genere», in bocca all’Oms, è chiaro cosa possono significare.

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Se a ciò aggiungiamo che quello proposto, come si diceva, si presenta come un trattato «legalmente vincolante», meglio guardarlo con grande scetticismo. Non sia mai che, col pretesto di prevenire un’altra pandemia da Covid, se ne inauguri un’altra di tipo culturale, abortista e pro gender. Sì, perché il giochino – e naturalmente speriamo sempre di sbagliarci – pare proprio essere quello: occhio.

 

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