23/09/2022 di Manuela Antonacci

Disforia di genere. La denuncia di una mamma: «Stato non aiuta i nostri figli. Carriera Alias è pericolosa!»

Si chiama “Genitori de-generi”, il nome potrebbe trarre in inganno, ma si tratta di un gruppo con le idee chiare e tutt’altro che “degenere”. Sulla loro pagina twitter si legge: «Siamo un gruppo di genitori con figli preadolescenti e adolescenti con disforia di genere o gender questioning (che mettono in discussione il proprio genere). Crediamo che ci siano molte cause e situazioni che possono portare a sviluppare un disagio riguardo. Allo stesso modo, crediamo ci siano altrettanti percorsi per uscire da questo malessere. Facciamo squadra per fare informazione sui percorsi che garantiscono il rispetto della delicata fase di crescita e costruzione identitaria tipica dell’età evolutiva».

Abbiamo, allora, dialogato con una delle mamme che ha costituito questa rete di aiuto e solidarietà per saperne di più.

Ci parli del vostro gruppo, come nasce e da chi è costituito

«Noi siamo un gruppo di mamme che si sono trovate un po’ per caso sui social. Abbiamo quasi tutte figlie femmine con disforia di genere, ultimamente si è aggiunta una mamma con un figlio maschio con disforia. L’età dei nostri ragazzi va dai 14 ai 20 anni. Tutti noi abbiamo una storia alle spalle di ricerca affannosa di aiuti e in Italia non abbiamo trovato nulla che potesse giovarci. Infatti la realtà degli specialisti, degli addetti ai lavori, quindi psicologi, psichiatri ecc. è molto complessa per noi genitori, perché la maggior parte sono “affermativi”. Cioè tendono ad avvallare questa situazione. Eppure noi mamme ci siamo rese conto che per una strana combinazione, le nostre figlie che non avevano mai manifestato disforie di alcun tipo in precedenza, con il lockdown hanno sperimentato questo disagio».

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Quindi la maggior parte degli psicologi e degli psichiatri tende ad assecondare questa tendenza e a non andare a fondo?

«Si presume che non sia così, eppure io vorrei un atteggiamento di maggiore prudenza da parte loro prima ad esempio, di poter definire maschio, una ragazzina transgender che vive questo momento di confusione.  Le esperienze che abbiamo vissuto, tuttavia, non sono tutte uguali. Lo spettro di convinzione degli specialisti è vario, ma tende sempre in ultima analisi ad assecondare il ragazzino o la ragazzina di turno. Fino ad ora ho fatto salti mortali per trovare terapeuti che volessero andare più a fondo. Io, per esempio, sto andando dalla mia terapeuta che finalmente mi ha aiutato a prendere in mano la situazione con mia figlia e stiamo riuscendo ad approfondire la nostra situazione».

Oggi si tende a nascondere la polvere sotto il tappeto, in nome dell’inclusività, in particolare a scuola. Che ne pensa?

«Io credo che la scuola dovrebbe confrontarsi con i genitori e la loro libertà educativa. Peraltro parliamo di ragazzini in un’età molto delicata. La mia esperienza è questa: io mi sono confrontata con la coordinatrice di classe per chiedere che mia figlia venisse chiamata per cognome e non con il nome maschile che si è scelta lei, perché stiamo ancora lavorando su questo aspetto. Invece, di fronte alla mia richiesta portata alla preside, quest’ultima mi ha risposto che la decisione doveva spettare unicamente a mia figlia sedicenne».

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Insomma un tentativo di introdurre la carriera alias?

«Sì, magari non ufficialmente ma de facto. La carriera alias che a livello sociale può sembrare innocua, in realtà è molto pericolosa, perché fa fare a questi ragazzi un passo avanti nel credere che sia un giochetto passare da un’identità sessuale all’altra. Invece, dal punto di vista biologico, medico scientifico non è uno scherzo, ci sono tanti rischi e io che sono un medico, lo sottolineo. Riempirsi la bocca di una parola come “inclusività” o calcare la mano su storie pseudo commoventi, in cui la mamma aiuta il figlio a ritrovare la sua “vera” identità, è solo dannoso, perché in realtà in questo modo non si sta aiutando il ragazzo a capire che quella che vive è una finzione».

Lo Stato vi ha mai aiutato?

«Attualmente noi vediamo che lo Stato favorisce questa deriva. L’attuale maggioranza è completamente preda del pensiero unico, tanto che per un pelo abbiamo schivato il ddl Zan che però è sempre lì dietro l’angolo. Per il momento non abbiamo chiesto nulla alle istituzioni anche perché come gruppo siamo ancora giovani, ma è chiaro che il governo attuale non sarebbe sensibile alle nostre richiesta perché abbraccia un’ideologia tutta sua»

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