28/06/2021 di Manuela Antonacci

Ddl Zan. Suor Alfieri: «Ragazzi indottrinati nelle scuole!»

Già in Commissione Giustizia al Senato, suor Anna Monia Alfieri, si è pronunciata contro il ddl Zan, sostenendo che il suo scopo non sia quello di tutelare la persona. Ultimamente, inoltre, ha rilasciato delle importanti dichiarazioni all’Ansa, in cui si è soffermata sugli aspetti più nefasti della legge, in particolare in ambito scolastico ed educativo. Pro Vita & Famiglia ha voluto intervistarla a riguardo.

 

Sul ddl Zan ha rilasciato delle dichiarazioni in cui si mostra dubbiosa e lo fa rivolgendosi ai ragazzi, come mai?

«Il linguaggio violento adottato in questo periodo non permette ai ragazzi di orientarsi e questo è un problema reale che magari la mia generazione non aveva e un domani, chissà cosa diranno i nostri ragazzi, quando capiranno. Infatti, gli adulti che oggi si sono comportati come degli adolescenti, rappresentano il tradimento dei loro sogni e delle loro aspettative. E allora, come educatrice, è come se, ad un certo punto, negli ultimi quattro, cinque anni, avessi ravvisato questo rischio ed era partito prima con un abbassamento del livello culturale, per cui non serve studiare, tutti possono far tutto anche senza gavetta. Un processo che ha cominciato a togliere strutture e contenuti. Poi, a questo, si è aggiunto questo linguaggio violento, aggressivo, privo di contenuti, che in realtà è il più grosso tradimento che possiamo fare ai nostri ragazzi. Quindi bisogna ricominciare a parlare, a non lasciare più cadere le cose: ogni cosa la si commenta, si sospende il giudizio, ma si dà ai nostri ragazzi gli strumenti per orientarsi e regolarsi. Quindi bisogna cambiare la comunicazione: la comunicazione non dev’essere più un ping pong, un giudizio sulla persona. Come l’intervento di questi giorni, di Fedez, sul Vaticano: erano un’accozzaglia di temi che non c’entravano niente l’uno con l’altro (stato laico, concordato, pedofilia di preti giudicati dal tribunale del vaticano ecc.) privi di contenuti. Mi sembravano temi che, ancora una volta, mi confermavano questo meccanismo: mettere allo scontro, ovvero, mi difendo attaccandoti. Un pensiero privo di contenuti che instilla nell’altro rabbia, nervosismo, senso di frustrazione, cancella i punti di riferimento. Quando noi smontiamo la magistratura, quando smontiamo la Chiesa, smontiamo il Parlamento, non ci rendiamo conto che priviamo i nostri ragazzi di punti di riferimento. Quindi, gli togliamo la cultura, non gli diamo gli strumenti per orientarsi, è chiaro che il pericolo è altamente quello di una catastrofe educativa. Per questo ho preso una linea che consiste nel non dare giudizi sulle cose, ma strumenti perché la gente liberamente si orienti».

Secondo Lei, nelle scuole, esiste un’emergenza omofobia tale da giustificare la necessità di questo ddl?

«No, affatto. Bisogna essere molto onesti. Nelle nostre scuole paritarie cattoliche, ci sono dei ragazzi che hanno un determinato tipo di orientamento, ma non ho mai visto grandi gesti di intolleranza. Ho visto che c’è un bisogno di educazione, anch’io sono stata presa in giro per tanti motivi. Mi è capitato, persino, di camminare per strada ed essere sputata per l’abito che indosso. Mi è capitato che a scuola, la mia insegnante di scienze mi derise per il mio credo, lo stesso mi è accaduto da parte di fior di onorevoli.

Ma questa è stata la sfida della mia vita, ma solo perché la mia generazione aveva gli strumenti. C’è stato un punto in cui io ho capito che non c’era la legge: non c’era il papà e non c’era la mamma che mi avrebbero aiutata, perché non volevo mortificarli, però avevo gli strumenti per gestire la discriminazione. Però avevamo grandi educatori. Negli ultimi anni, invece, i grandi educatori sono venuti meno: l’Italia ha vissuto un vuoto, dopo gli anni di Aldo Moro, di don Milani, di Puglisi ecc. Anche nel mondo delle scuole cattoliche, bisogna dirlo, c’è stato un momento in cui abbiamo arretrato in quell’educazione soda, abbiamo pensato che insegnare a far di conto fosse già tanto. Insegnare il buon pensiero e la morale andavano bene, ma quanto nelle nostre scuole abbiamo parlato di politica sociale, di politica come più alta forma di carità? Allora, essendo diventati proprio gli adulti più fragili, hanno dovuto fare ricorso alla “falsa prudenza” che consiste nel farsi i fatti propri anche di fronte a fatti gravi. Noi adulti, invece, avremmo dovuto dare ai ragazzi quegli strumenti culturali per affrontare le discriminazioni. Ma, siccome non siamo stati capaci, è stato molto più facile per noi, clinicizzare il fenomeno, in modo che poi, se ne occupasse lo psicologo. Inoltre l’abbiamo stigmatizzato con gli slogan che dicono tutto e non dicono nulla: bullismo, cyber bullismo, ecc. Quindi quegli atti di discriminazione hanno fatto più rumore perché avevano, da un lato, minori incapaci di gestirli e dall’altra degli adulti che se ne fregavano. Ciò che ha rotto il meccanismo è stato il covid che è stata come una tragedia che ha portato al pettine, tutti i nodi: i limiti degli educatori ad esempio, la scuola ha cominciato a fare i conti coi suoi limiti, idem la politica. Anche il ddl Zan che, apparentemente sembrava una legge normale, non è stata più accettata dagli italiani. Gli italiani del post covid non sono più disposti a bersi qualsiasi frottola, ad accettare una politica che si scontra. Allora gli adulti hanno capito che per salvare il salvabile, dovevano cominciare a scendere in campo e contrastare l’idiozia con il sapere».

Quindi, cosa è accaduto?

«È successo che noi non siamo più disposti a lasciar cadere. Quindi abbiamo cominciato a chiedere la libertà di espressione dei giornalisti, abbiamo cominciato a dire a chi parla pubblicamente di documentarsi. Riguardo il ddl ZAn, anche su questo ci siamo svegliati, abbiamo capito che non va a contrastare la discriminazione, ma la alimenta, crea una categoria protetta. È come far andare in giro un figlio, con una maglietta, con l’etichetta “omosessuale”. Quando crei la categoria, crei le minoranze e quando crei le minoranze non riesci ad includerle tutte. Allora la diversità si vive nella quotidianità, nella normalità. Altro punto, se il ddl Zan non contrasta la discriminazione perché viene redatto? Perché, alcuni anni fa, per assicurarsi il pensiero unico, abbiamo abbassato il livello culturale, con una politica che creava consenso sui social e la gente vi andava dietro. Ma il covid ha smontato tutto questo, perché ha dimostrato che serve la competenza per governare un paese. Allora il ddl Zan ha deciso di passare dalle scuole, per imporre il pensiero unico (pensiamo all’art. 4 del ddl che contrasta con l’art. 21 della Costituzione sulla libertà di pensiero). Questo ddl apre meandri enormi al pensiero unico, grazie all’art.7 che diffonde una cultura di massa, dicendo ai genitori che d’ora in poi non dovranno più occuparsi dell’educazione dei loro figli, perché è lo stato che li educa e qualunque rigurgito di dissenso è punito con l’art. 4. E chi si dice a favore, non se l’è letto».




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