11/07/2025 di Redazione

Comune Modena censura nostri legittimi manifesti ma si fa un autogol clamoroso. Ecco cosa è successo

Il Comune di Modena ha censurato i nostri manifesti contro i progetti gender nelle scuole, etichettandoli come «ingannevoli» e «discriminatori» e chiamando in causa l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), ma proprio in virtù di quanto stabilito dallo IAP le nostre affissioni sono del tutto legittime, innocue e dunque non sarebbe giusto né censurarle né tantomeno gettare fango sui messaggi che veicolano. Ma vediamo nel dettaglio cosa è successo.

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La Censura del comune di Modena

Tutto inizia il 9 luglio, quando l'assessore alle Politiche di genere Alessandra Camporota annuncia in pompa magna la decisione di coprire i manifesti di Pro Vita & Famiglia - già affissi da diversi giorni - fino al restante periodo di diffusione previsto, ovvero il 12 luglio. La stessa Camporota insieme al sindaco di centrosinistra Massimo Mezzetti annunciano anche la volontà - con una nuova delibera - di «proporre una modifica al regolamento comunale su queste materia», dunque pensare ad una vera e propria norma “anti-pro vita” di fatto per tappare la bocca a chi la pensa diversamente su temi così sensibili come il gender (ma è facile immaginare anche aborto, famiglia, vita, libertà educativa e così via).

Gli esponenti della Giunta però non si limitano solo a questo, ma tentano - invano - di attaccare anche nel merito i manifesti di Pro Vita & Famiglia onlus, affermando che siccome la stessa associazione «ha accettato una clausola del 'Regolamento comunale per la disciplina del canone patrimoniale di occupazione del suolo pubblico e di esposizione pubblicitaria', il quale prevede che l'applicazione del canone rispetti principi e finalità del Codice di autodisciplina» e siccome - secondo la Giunta - si tratterebbe di «comunicazione commerciale ingannevole allarmista, con messaggi sensibili a bimbi e adolescenti alle discriminazioni» allora non sarebbero di conseguenza conformi, sarebbero illegittimi e dunque da censurare.

Cosa ha già detto lo IAP

L’autogol del Comune di Modena è completo proprio nel momento in cui cita espressamente il Codice di autodisciplina. Questo significa, infatti, che l’amministrazione comunale non può decidere le pubblicità o le affissioni di volta in volta da approvare o censurare in base al proprio orientamento politico e ideologico, ma deve sottostare proprio all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) che lo stesso Comune cita. Ed è qui, come si suol dire, che casca l’asino: lo IAP - interpellato nelle scorse settimane dal Comune di Bergamo in riferimento agli stessi manifesti sul gender - ha già espresso il suo parere positivo sulla piena conformità dei manifesti al Codice, di fatto smentendo clamorosamente le accuse di pubblicità ingannevole o discriminatoria che possa avere un impatto negativo su un pubblico sensibile, e chiarendo che i margini di tolleranza sulle campagne di comunicazione sociale come quelle della Onlus sono più ampi rispetto alle pubblicità di natura commerciale, in virtù del diritto di opinione ed espressione sancito dalla Costituzione. 

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E’ il Comune che sta violando la legge

Dunque non solo il Comune di Modena non ha alcun titolo di sostituirsi allo IAP nella verifica del rispetto del Codice di Autodisciplina dei manifesti, ma avendo anche scelto di vincolarsi al Codice si è vincolato anche al rispetto della competenza esclusiva del Comitato a risolvere le controversie. Questo significa che non è Pro Vita & Famiglia ma è il Comune di Modena che sta violando il Codice di Autodisciplina pur di tappare la bocca a soggetti non allineati con l’Amministrazione, e questo rende la decisione di censurare i manifesti e procedere alla modifica del regolamento con una norma “anti-provita” per impedire campagne future, una squallida e illegale operazione politica contro la quale l’associazione ha già annunciato di difendersi «in tutte le sedi opportune per difendere le libertà costituzionali».

Il ruolo di Camporota

Ad aver avuto un ruolo di primo piano in questa vergognosa vicenda non è stato solo il sindaco Mezzetti (partiticamente indipendente ma appoggiato dalle forze di centrosinistra), ma anche e soprattutto l’assessore Alessandra Camporota. Una nomina, la sua, non politica (né tra le fila di chi fu eletto alle elezioni comunali) ma arrivata quando lei stessa era ancora Prefetto in carica, cosa che scatenò fin da subito le polemiche per il passaggio, non propriamente ortodosso seppur consentito dalla legge, da un ruolo pubblico e super partes a uno politico. Tra chi sottolineò questa curiosa vicenda anche l’ex ministro Carlo Giovanardi, che in queste ore ha dato il suo sostegno alla campagna di affissioni di Pro Vita & Famiglia contro l’assurda censura del Comune. «A Modena - ha dichiarato Giovanardi - con l’aggravante dell’avallo di un ex prefetto, viene colpito il diritto di opinione ed espressione garantito dalla costituzione, senza neppure rispettare i principi fissati per legge per non lederlo». A fargli eco anche il consigliere di Forza Italia Piergiulio Giacobazzi che ha parlato di «conferma della totale sudditanza ideologica della Giunta alla politica Lgbtq+. Un delirio ideologico che porta con sé un costoso e dannoso delirio politico-amministrativo. La giunta evidentemente non aveva altro di importante da fare visto che hanno avuto volontà e tempo per redigere e approvare una delibera contestabile nel metodo e nel merito».

Le affissioni di Pro Vita & Famiglia

E’ infine doveroso, per dovere di cronaca, ricordare perché - al di là anche dello stesso parere dello IAP - le affissioni di Pro Vita & Famiglia non hanno nulla di illegittimo né di discriminatorio, violento, falso o ingannevole. I manifesti, infatti - inerenti la Campagna "Mio Figlio No. Scuole Libere dal Gender" - riportano in tre versioni diverse le immagini di alcuni bambini e adolescenti create con l’intelligenza artificiale e le scritte “Oggi a scuola un attivista Lgbt ha spiegato come cambiare sesso - Giulio, 13 anni” / “Oggi a scuola ci hanno letto una favola in cui la principessa era un uomo - Anna, 8 anni” /“La mia scuola ha permesso anche ai maschi di usare i bagni delle femmine - Matilde, 16 anni”. Si tratta di messaggi che si riferiscono a progetti gender realmente svolti nelle scuole italiane senza che i genitori fossero informati e coinvolti e dunque assolutamente veritieri e idonei per chiedere - questo infatti lo scopo della Campagna - l’urgente approvazione di una legge per tutelare la libertà educativa dei genitori. Una norma di civiltà, buon senso e allo stesso tempo chiara e vincolante: senza il consenso dei genitori nessuno può parlare di temi sensibili dentro la scuola.

 

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