08/11/2022 di Luca Marcolivio

Carriera alias. Lo psicologo Lambiase: «Posta in gioco alta, gli insegnanti si informino bene»

Quando si parla di “carriera alias” nel sistema scolastico, i dirigenti, gli insegnanti e gli educatori, piuttosto che imporre le proprie idee preconcette, dovrebbero ascoltare le sofferenze degli alunni con disforia di genere. Prima di adottare provvedimenti controproducenti, sarebbe altresì necessario che le autorità scolastiche si informino e prendano decisioni ispirate a una letteratura scientifica adeguata. È questa la posizione espressa a Pro Vita & Famiglia da Emiliano Lambiase, psicologo e psicoterapeuta, coordinatore dell’Istituto di Terapia Cognitivo Interpersonale di Roma e supervisore scientifico delle attività del Progetto Pioneer.

Dottor Lambiase, innanzitutto ci può spiegare la differenza tra identità di genere e orientamento sessuale, e in che modo sono correlati?

«L’orientamento sessuale e l’identità di genere, sebbene correlate, sono due dimensioni distinte. Il primo riguarda il rapporto con gli altri e fa riferimento alle persone verso le quali proviamo attrazione. La seconda riguarda il rapporto con noi stessi, cioè il rapporto che abbiamo con il nostro corpo e come ci identifichiamo con esso. Tendenzialmente sono correlati in quanto un’identità di genere cis-gender (quando ci si identifica con il proprio sesso biologico) è molto più spesso associata ad un orientamento sessuale eterosessuale. Una piccola parte dei bambini e delle bambine che manifestano una modalità di gioco e caratteristiche di personalità più frequentemente tipiche dell’altro sesso, crescendo tenderanno a sperimentare disforia di genere oppure un orientamento omosessuale. Inoltre, coloro che sperimentano disforia di genere nell’infanzia (con orientamento eterosessuale rispetto al genere percepito e omosessuale rispetto al sesso biologico), in buona parte svilupperanno un’identità cis-gender ma manterranno un orientamento omosessuale rispetto al sesso biologico. Per quanto riguarda la relazione causa-effetto, un modello ipotizza una sequenza evolutiva in cui l’identità di genere si sviluppa prima del ruolo di genere che, a sua volta, si sviluppa prima dell’orientamento sessuale. Un altro modello inverte questa sequenza evolutiva, postulando che l’orientamento sessuale è evidente abbastanza presto nello sviluppo da influenzare l’espressione del comportamento tipizzato sessualmente e, quindi, dell’identità di genere. Un terzo modello, oggi prevalente, presta meno attenzione alla sequenza temporale tra queste due variabili e sottolinea invece la possibilità che il comportamento tipizzato sessualmente e l’orientamento sessuale siano entrambi influenzati dagli stessi fattori (ad esempio gli ormoni sessuali prenatali)».

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A che livello lo stato di confusione nell’identità di genere degli adolescenti e dei giovani adulti può influire sulla loro condizione psicologica nella quotidianità e nelle scelte importanti?

«È molto difficile rispondere sinteticamente e semplicemente per vari motivi. La confusione nell’identità di genere può essere dovuta a vari fattori, alcuni psicopatologici (ad es. disturbo borderline di personalità) e altri no (ruolo di genere differente dalla media che mette in dubbio la persona riguardo la propria identità di genere). Inoltre, molto dipende dalla personalità del soggetto, dalle cause sottostanti e dall’ambiente nel quale vive. Tutte queste variabili influiscono sul modo con il quale sperimenta e affronta questa confusione, elabora un processo di sintesi e accettazione della propria personalità e identità, oppure sperimenta processi traumatici di rifiuto interno o dall’esterno».

In molte scuole e università italiane è stata adottata la formula della carriera alias per gli studenti che si identificano con un genere diverso da quello biologico. Il sistema educativo fa bene ad assecondare queste inclinazioni?

«La questione è molto delicata perché parliamo della sofferenza delle persone, tra l’altro molto giovani, e delle risposte migliori per aiutarle. È importante guardare e capire questa sofferenza e non le idee preconcette che vogliamo sostenere e dimostrare, qualunque esse siano. Non credo si tratti di assecondare le inclinazioni o i desideri delle persone, quanto di aiutare le persone con disforia di genere diagnosticata a sentirsi riconosciute e integrate nel contesto scolastico. Se poi la carriera alias sia lo strumento migliore per farlo non sta a me dirlo in quanto la riflessione integra, ma non si esaurisce con, l’ambito psicologico. Include infatti anche aspetti sociologici, legali e di gestione interna della scuola. Pertanto, a mio avviso, sarebbe opportuno avviare un dibattito serio e ampio, fondato sulla letteratura scientifica internazionale e non sulle opinioni personali, includendo varie figure professionali e coinvolgendo anche la scuola in modo da identificare lo strumento migliore e le modalità più indicate per attivarlo».

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Il fatto che, a scuola, l’identità dello studente possa essere diversa da quella burocratico-legale (e anche sociale) non rischia di alimentare ulteriore alienazione nel giovane?

«A mio avviso il rischio esiste nella misura in cui il riconoscimento dell’identità di genere a scuola avvenga senza seguire adeguate linee guida. Parlando della sua attivazione, personalmente penso che vada resa operativo tenendo conto di alcuni criteri di discernimento e discriminazione finalizzati a tutelare proprio l’interesse del soggetto. Tali criteri ritengo che non li possa decidere la scuola da sola (non essendo fatta di esperti in materia) e che non possano essere diversi tra le varie scuole (per non creare caos e discriminazioni). Credo che la cosa migliore sia di istituire un gruppo di lavoro che li stabilisca a livello nazionale. Lo scopo di questi criteri dovrebbe essere quello di: a) permettere di accertare, per quanto possibile, la diagnosi e la sua stabilità nel tempo; (b) inserire tale riconoscimento scolastico all’interno del più ampio percorso di transizione già attivato in precedenza, del quale diverrebbe una parte. In caso contrario la persona si potrebbe trovare a vivere in modo dissociato, con conseguenze negative anche psicologiche: una parte della propria vita nella quale va avanti il percorso di transizione e un’altra nella quale questo non avviene o avviene in modo scoordinato. Inoltre, in aggiunta ai criteri di discernimento, ritengo sia necessario riflettere anche sui criteri di attuazione, che stavolta dovrebbero essere specifici per la scuola e la persona con disforia di genere, al fine di realizzare un’integrazione personalizzata tra l’identità di genere del soggetto e gli ambienti, le regole e le persone della scuola. In quest’ottica la scuola verrebbe chiamata ad essere parte attiva del processo di cambiamento, e non mera esecutrice passiva».

Come dovrebbero porsi, dunque, gli insegnanti, i dirigenti scolastici e gli educatori nei confronti di questo fenomeno?

«Al fine di essere partner attivi in questo processo, e non passivi e meri esecutori oppure aprioristicamente oppositivi, gli insegnanti, i dirigenti scolastici e gli educatori dovrebbero in primo luogo informarsi riguardo alla disforia di genere e alle varie opzioni terapeutiche, attingendo, tramite l’ausilio di esperti, alla letteratura internazionale sul tema. La posta in gioco è così alta e la situazione così complessa che non è possibile giocare una parte attiva e autorevole senza essere sufficientemente, per quanto possibile, informati e consapevoli».

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