30/01/2023 di Giuliano Guzzo

Anche il New York Times denuncia i pericoli della Carriera Alias

In tante occasioni, specie negli ultimi mesi, Pro Vita & Famiglia ha segnalato i pericoli della “carriera alias”, recentemente echeggiati anche in un intervento della Società Psicoanalitica italiana – per non parlare poi delle enormi criticità giuridiche che comporta tale strumento, la cui introduzione potrebbe perfino configurarsi come penalmente perseguibile. Non solo: anche i genitori, in più circostanze, hanno espresso comprensibile preoccupazione verso questa assai discutibile novità. Tuttavia, di questo si era finora parlato per lo più in Italia e con riferimento, appunto, alle segnalazioni del mondo pro family.

Ora però non è più così. Delle insidie della “carriera alias” – definibile come un profilo alternativo e temporaneo, riservato agli studenti, e in alcuni casi pure ai docenti e al personale, che non si riconoscono nel genere «assegnato alla nascita» - si stanno accorgendo anche i grandi media internazionali e non conservatori. Prova ne è un lungo articolo da poco pubblicato su quella che probabilmente la testata più celebre del pianeta, il New York Times, a firma di Katie JM Baker. Si tratta di un intervento di notevole interesse sin dal titolo: «Quando gli studenti cambiano identità di genere e i genitori non lo sanno».

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L’autrice di questo reportage ha fatto, dal punto di vista giornalistico, un lavoro assai accurato, intervistando oltre 50 persone - tra famiglie, studenti, funzionari scolastici, militanti conservatori ed Lgbt – e scoprendo, appunto, come spesso la “carriera alias” dilaghi all’insaputa dei genitori, grazie a insegnanti ideologizzati e a scuole che del primato educativo delle famiglie, semplicemente, se ne infischiano. Baker racconta di tanti casi di famiglie americane che finiscono per scoprire in ritardo e accidentalmente la nuova identità del figlio. Come una mamma, tale Jessica Bradshaw, la quale se n’è accorta per puro caso, leggendo un nome sconosciuto come firma nei compiti della figlia.

Pur non sposando le istanze pro family, il New York Times informa poi i propri lettori delle condotte di insegnanti che, di fatto, si comportano e atteggiano a paladini Lgbt, andando ben oltre le loro prerogative. «Il mio lavoro è proteggere i bambini», è per esempio quello che ha dichiarato tale Olivia, la quale in California non fa l’assistente sociale né il giudice o l’avvocato, bensì l’insegnante di storia. Eppure si è sentita titolata, dall’alto della sua identità “non binaria”, ad incoraggiare alla “carriera alias” i suoi allievi - all’insaputa dei genitori, ovvio.

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Inquietante, a tal proposito, le notizie di scuole che ormai agiscono da veri e propri campi di rieducazione. Nella documentazione d’una causa intentata contro un distretto scolastico del Wisconsin, per esempio, è allegata la foto del volantino di un insegnante pubblicato a scuola che affermava: «Se i tuoi genitori non accettano la tua identità, ora tua madre sono io». Il che è un perfetto caso di ingerenza nella sfera educativa che la scuola non detiene in nessun caso in via esclusiva, se non, ecco, nelle dittature e sotto i regimi totalitari. Il fatto che ciò avvenga in un Paese come gli Stati Uniti, va da sé, è dunque preoccupante.

Tanto più, altro aspetto sottolineato dal celebre giornale liberal, che quella dei baby trans appare tendenza dilagante. Sebbene infatti il numero di giovani che si identificano come transgender negli Stati Uniti rimanga limitato, esso – puntualizza sempre il New York Times - è quasi raddoppiato negli ultimi anni e le scuole sono state sotto pressione per soddisfare le esigenze di questi giovani. E le famiglie? Se capita, vengono informate: altrimenti fa lo stesso. Ormai si ragiona così. E il fatto che a sollevare l’allarme su tale fenomeno sia oggi perfino un celebre giornale progressista la dice sulla pericolosità di un qualcosa che potrebbe essere fuori controllo. Sempre che, purtroppo, non lo sia di già.

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