10/01/2025 di Luca Marcolivio

Zuckerberg rinnega la censura di Meta sul gender. Anche Disney e Apple sulla stessa strada

La seconda elezione di Trump sta generando una rivoluzione copernicana anche tra i social media. A partire da Meta (il colosso che sta a capo di social quali Facebook, Instagram, Whatsapp, Threads e altri). Già nei mesi scorsi, il fondatore Mark Zuckerberg aveva fatto “mea culpa” per le censure effettuate da Facebook su pressione del presidente Usa uscente Joe Biden. Il breve video diffuso nei giorni scorsi da Zuckerberg, tuttavia, è di ben maggiore rilevanza, in quanto illustra quella che, da ora in poi, sarà la social policy di Meta: un nuovo corso, all’insegna della libertà di espressione, sulla scia – tra l’altro – del modus operandi del suo maggiore competitor, ovvero Elon Musk con X.

La censura politica sul gender

Zuckerberg, infatti, afferma di essersi «sbarazzato dei fact checker» e di averli «sostituiti con modalità simili a X», puntualizzando che i «fact checker di Meta sono stati troppo politicamente parziali e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata». I team di moderazione dei contenuti dell’azienda, dunque, saranno trasferiti dalla California al Texas «dove c’è meno preoccupazione per la parzialità dei nostri team», ha aggiunto Zuckerberg.

Il punto davvero cruciale, tuttavia, è un altro: Zuckerberg ha annunciato l’eliminazione di «un mucchio di restrizioni su argomenti come l’immigrazione e il gender (e l’identità di genere) che sono semplicemente fuori dal discorso dominante». Se questa promessa, al di là degli artifici tecnici, sarà mantenuta, si tratterebbe di una svolta epocale, che spalancherebbe prospettive per un possibile cambiamento antropologico e dei costumi. Nel recente passato, infatti, sono stati innumerevoli i contenuti e le notizie “scomode” penalizzati dagli algoritmi e dai filtri, non solo riguardo al gender ma a tutti gli argomenti attinenti ai principi non negoziabili: aborto, eutanasia, fecondazione artificiale e così via. Secondo il New York Times, inoltre, lo stesso Zuckerberg avrebbe deciso di modificare anche le policy interne che riguardano i temi di Diversity e Inclusion, a partire dai bagni degli uffici. Ci riferiamo, infatti, alla novità di rimuovere tamponi e assorbenti per il ciclo dai bagni degli uomini, che erano stati in un primo momento inseriti per "tutelare" i dipendenti "non binary" o in fase di transizione di genere, infischiandosene dell'assurdità di un modus operandi che di fatto annullava le normali differenze biologiche tra uomini e donne.

Anche Pro Vita censurata dall’algoritmo

Ecco perché Pro Vita & Famiglia accoglie favorevolmente il cambio di passo paventato da Mark Zuckerberg sui propri social, sui quali tra l’altro proprio la onlus ha subìto stigmi, ostracismi e vere proprie censure, che hanno reso difficile la diffusione del suo messaggio. Spesso, infatti, proprio l’algoritmo di Meta ha penalizzato messaggi, post, video, link, addirittura petizioni sui nostri temi.

La svolta, dunque, come detto, potrebbe essere epocale poiché con i suoi 3 miliardi di utenti in tutto il mondo, il solo Facebook (figuriamoci tutti gli altri messi insieme) rappresenta un veicolo formidabile per una comunicazione davvero interattiva e di libertà. Affinché vi sia una vera libertà di espressione, tuttavia, è fondamentale che tale principio sia perorato davvero da tutti, in primis da chi comanda le leve del potere.

Per onore di cronaca, però, c’è da sottolineare come la svolta di Meta, in realtà, non vada interpretata come una sorta di conversione sulla via dia Damasco di Zuckerberg, bensì come un ritorno ad argomenti a favore della libertà di espressione che lui stesso aveva esaltato in un discorso alla Georgetown University nell’ottobre 2019. Resta quindi ancora tutto in ballo e tutto da vedere sulle conseguenze concrete che ci saranno e che, si spera, possano essere davvero quelle ipotizzate dallo stesso fondatore di Meta.

Disney, Apple e altri colossi sulla stessa strada

Non solo Meta, a quanto pare. A fare dietrofront o comunque a ripensare a certi contenuti sembrano intenzionati anche altri colossi un tempo in prima linea nella propaganda arcobaleno come Disney e Apple, seppur in modo differente. La Disney, infatti, ha recentemente eliminato riferimenti espliciti al transgenderismo nella sua nuova miniserie animata Win or Lose, in uscita il 19 febbraio 2025 su Disney+. Nonostante la presenza del primo personaggio transgender, la casa di produzione ha deciso di rimuovere dialoghi relativi all’identità di genere. Secondo The Hollywood Reporter, la decisione sarebbe motivata dalla volontà di rispettare il diritto dei genitori di affrontare certi temi con i figli secondo i propri tempi. Un portavoce Disney, inoltre, ha dichiarato che, per i contenuti destinati a un pubblico giovane, molti genitori preferiscono discutere di argomenti sensibili autonomamente e questo va rispettato dall'azienda. Decisioni simili adottate anche da McDonald's, Ford e dai supermercati Walmart, che hanno annunciato la fine dei loro programmi IED, ovvero Inclusion, Equity and Diversity Policy. Leggermente diversa, invece, la decisione della Apple. La casa di produzione dell'iPhone, infatti, ha deciso di votare contro una proposta degli azionisti - avanzata in particolare dal think tank National Center for Public Policy - per porre fine ai suoi programmi di diversità, equità e inclusione. «Apple non discrimina nel reclutamento, nell'assunzione, nella formazione o nella promozione», è stato dichiarato in una risposta scritta. Una decisione che, però, ha tutto il sapore di essere stata presa più che altro per ragioni di business, per non scontentare altri azionisti - e dunque la Borsa - e quindi per non pagare le conseguenze economiche e in termini di pubblicità, immagine e vendite.

 

 

 

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