In Italia cresce in silenzio un fenomeno che fino a pochi anni fa forse sembrava difficili anche solo immaginare: un numero sempre maggiore di papà sceglie volontariamente di lasciare il lavoro per stare accanto ai propri figli nei primi anni di vita. Non si tratta di casi isolati o eccezioni curiose, ma di una vera e propria tendenza in crescita. I dati del Ministero del Lavoro parlano chiaro: nel solo biennio 2023–2024, oltre 61.000 genitori con figli fino a tre anni si sono dimessi dal proprio impiego per motivi legati alla famiglia. Tra questi, quasi 19.000 erano padri, cioè circa il 30% del totale, un dato che segna un vero record nella storia sociale recente del nostro Paese. Fino a pochi anni fa, infatti, il congedo dal lavoro per motivi familiari era quasi esclusivamente una prerogativa delle madri, non solo e non tanto per una mera “volontà”, ma spesso letteralmente spinte a lasciare il lavoro dalla mancanza di servizi adeguati per l’infanzia e per la maternità. Oggi, però, qualcosa sta cambiando. I padri iniziano ad assumersi in prima persona la responsabilità dello stare accanto ai figli, non solo con brevi congedi, ma anche con vere e proprie rinunce professionali. Una scelta coraggiosa, spesso difficile, che racconta due lati della stessa medaglia. Insomma, dati e statistiche che sono tanto una “bella” quando una “brutta” notizia. Da un lato, infatti, questo fenomeno racconta molto del desiderio crescente degli uomini di essere padri presenti, dall’altro racconta anche uno Stato ancora troppo distante nel sostenere e tutelare la genitorialità e la conciliazione lavoro-famiglia.
I numeri di un fenomeno in espansione
Analizzando i numeri nel dettaglio, il quadro che emerge è eloquente. Nel 2024, il 30,5% dei genitori dimissionari era composto da uomini. Nel 2022, appena due anni prima, solo il 7,1% dei padri indicava la cura dei figli come motivazione della propria uscita dal mondo del lavoro. Nel 2023, la percentuale era salita all’11,9%. Oggi è più che triplicata, raggiungendo la quota record del 21,1%. Questo dato non solo racconta un profondo mutamento nei modelli familiari, ma rende evidente una crescente difficoltà condivisa tra padri e madri nel riuscire a tenere insieme famiglia e lavoro. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, la Lombardia è la regione con il maggior numero di dimissioni volontarie legate alla genitorialità, rappresentando il 24% del totale nazionale. A seguire troviamo il Veneto e l’Emilia-Romagna. Per quanto riguarda, invece, le difficoltà nel trovare strutture adeguate è una questione generalizzata: secondo i dati ufficiali, infatti, quasi il 60% dei nidi pubblici in Italia ha liste d’attesa, mentre anche tra i nidi privati i costi elevati rappresentano una barriera insormontabile per moltissime famiglie. Le donne continuano a rappresentare la maggioranza delle dimissioni legate alla maternità: oltre il 70% dei casi è ancora rappresentato da madri, e il principale motivo indicato è proprio l’impossibilità di conciliare la cura dei figli con gli impegni lavorativi, aggravata dall’assenza di un welfare familiare davvero funzionante. Ma oggi, appunto, anche i padri iniziano a fare le stesse rinunce: si licenziano perché gli orari sono incompatibili con le esigenze familiari, perché non hanno alternative, o perché, in alcuni casi, percepiscono uno stipendio inferiore rispetto alla madre, e dunque sono loro a farsi da parte.
Due facce della stessa medaglia
Come detto, questa crescita dei licenziamenti volontari da parte dei padri è una notizia positiva e negativa allo stesso tempo. È positiva perché racconta di una paternità nuova, viva, partecipe. Perché ci mostra uomini che non hanno paura di “perdere” un fantomatico “potere” maschilista – come se ci fosse una lotta tra uomini e donne, anziché una sana alleanza – per guadagnare tempo, presenza, relazione con i propri figli. È bello sapere che oggi sempre più padri non rinunciano alla possibilità di essere tali, non si accontentano di vivere la genitorialità da lontano, e si fanno carico della fatica, della quotidianità, della presenza accanto ai bambini. È un segnale forte, umano, culturale, che ci dice che qualcosa si sta finalmente muovendo. Ma è anche una notizia amara. Perché questi padri, come molte madri da anni, spesso non lasciano il lavoro per scelta, ma per necessità. Lo fanno sotto la pressione di un sistema che non li sostiene, che li mette davanti a un bivio crudele: o lavoro o figli. È il fallimento di uno Stato che ancora oggi non riesce ad accompagnare i genitori, che considera la natalità un fatto privato, marginale, da gestire in solitudine. Se anche gli uomini iniziano ad abbandonare il lavoro come extrema ratio, non significa che il sistema è più equo: significa che è più fragile. Il fatto che questa scelta, fino a ieri “femminile”, stia diventando sempre più “maschile”, non è progresso, ma un’ulteriore conferma dell’assenza di politiche strutturali per la famiglia.
Lo Stato deve fare la sua parte
Se vogliamo che questi licenziamenti non siano più una resa, ma una scelta sempre libera, lo Stato deve agire, con una riforma profonda e coraggiosa delle politiche familiari e del lavoro, che riconosca finalmente il valore della maternità e della paternità non come ostacolo, ma come risorsa. Servono congedi parentali molto più lunghi, flessibili e ben retribuiti sia per le madri che per i padri. Congedi che non siano visti come un costo o una “gentile concessione”, ma come un diritto fondamentale, sostenuto dalla fiscalità generale e integrato in un patto sociale nuovo. È necessario, poi, che alla nascita di ogni figlio corrispondano incentivi economici concreti, non una tantum simbolici. Occorre rafforzare i sostegni mensili, modulandoli davvero sul numero dei figli e sul reddito familiare, per accompagnare le famiglie in tutte le fasi della crescita. Le famiglie numerose, in particolare, devono essere riconosciute come un bene per l’intera collettività, e ricevere agevolazioni fiscali, sconti su beni primari, bonus educativi e nei servizi. Infine, è urgente investire massicciamente nel sistema dei servizi educativi per l’infanzia. Più nidi, più flessibilità oraria, più strutture accessibili e a misura di famiglia, in ogni territorio. Senza un sistema pubblico efficiente, di supporto alla prima infanzia, la natalità continuerà a calare e sempre più genitori – madri e padri – saranno quindi messi nella condizione di dover scegliere tra il lavoro e i figli.