09/11/2023 di Gloria Callarelli

Westminster Declaration, appello per tutelare la libertà di espressione. Ecco di cosa si tratta

E’ stato firmato nelle scorse settimana la Westminster Declaration, un appello che raggruppa personalità e professionisti di tutto il mondo per proteggere la libertà di espressione e di informazione. La giornalista Martina Pastorelli spiega l’iniziativa: «L’appello nasce da una constatazione che ha messo d'accordo tutti: giornalisti, comunicatori, attivisti provenienti da tutto il mondo. Ci siamo riuniti lo scorso giugno nel quartiere londinese di Westminster per confrontare le situazioni nei rispettivi paesi quanto a libertà di espressione e abbiamo preso atto che stiamo vivendo un'erosione continua di questo diritto fondamentale della libertà di espressione e quindi di informazione per opera di quello che abbiamo definito un complesso censorio industriale formato da attori governativi, piattaforme online, università e Ong che sono sempre piu impegnati a monitorare i cittadini e a privarli della loro voce con il pretesto di combattere la lotta alle fake news, alla disinformazione, di combattere il linguaggio di odio e tutelare le fasce deboli».

«Questo complesso – spiega - agisce, noi crediamo, attraverso la diretta pressione delle autorità governative. Lo dimostrano i fatti: ha dimensione globale e dispone di una tecnologia che consente un controllo totale, senza precedenti sulle nostre vite. Per questo l’ora è grave e di qui la necessità di richiamare con questo documento l'attenzione su quanto sta accadendo che è rivolto a governi, piattaforme digitali e cittadini in difesa di questo diritto umano fondamentale. Un altro elemento importante da sottolineare sono i nomi di primissimo piano, culturale e accademico, come Julian Assange, Oliver Stone e moltissimi altri».

Lo scopo? Impedire che le future generazioni crescano con la paura di esprimere la propria opinione. La genesi appare eveidente: dal politically correct a tutto quello che è stato censurato con il Covid l’escalation è preoccupante: «Dal politically correct alla censura dei fact checker, che operano con criteri poco chiari e talvolta con dichiarata parzialità andando a rimuovere dal web opinioni lecite su argomenti di grande importanza, oggi siamo alla fase 3 della censura istituzionale e legislativa. Vedi la legge irlandese di “incitamento all’odio” per cui si potrà finire in carcere se si incita all’odio in base alle caratteristiche protette, laddove il concetto di odio non è ben definito e rischia di colpire chi fa opinioni sgradite. Poi c’è la legge australiana sulla disinformazione che potrà rimuovere tutto ciò che è ritenuto disinformazione senza definire disinformazione. Ma questi sono solo alcuni dei provvedimenti – aggiunge Pastorelli - che minacciano di limitare fortemente la libera espressione: un’operazione a tenaglia di repressione e silenziamento che non ha precedenti. Purtroppo c’è anche un giornalismo che si conforma e che anzi diventa parte del sistema censorio».

Attenzione perché questo sistema censorio avviene con la scusa della salvaguardia della democrazia. Una menzogna: «Nella Dichiarazione dei Diritti Umani e nell’articolo 21 della Costituzione Italiana si protegge il diritto all’informazione: con la scusa delle Fake News, i cittadini vengono trattati come minus habens incapaci di riconoscere ciò che è vero o meno e a monte si decide cosa dobbiamo sapere. Quando il DSA europeo entrerà in vigore su qualsiasi argomento potranno decidere cosa è disinformazione. Non cadiamo nella trappola  - chiude Pastorelli - che ciò sia fatto in nome della salvaguardia della democrazia perché è esattamente il contrario. Non possiamo affidare a politici e burocrati quello che è o non è informazione: ci hanno dimostrato di non essere corretti, in buona fede, di non volere il bene della popolazione ma di perseguire altri disegni e di mentire anche piuttosto spudoratamente su ogni tema».

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