Ne hanno parlato una volta a Le Iene, un’altra a Fuori dal coro: gli anziani in Italia rischiano di cadere in una trappola senza via d’uscita, quando giudici tutelari superficiali o - peggio - collusi nominano amministratori di sostegno disonesti che chiudono i malcapitati in Rsa-lager dove vengono privati della libertà e degli affetti (e dei denari). La denuncia viene da una nota giornalista che è rimasta tragicamente coinvolta da questo sistema marcio, paragonabile a quello che a Bibbiano e al Forteto ha abusato dei minorenni e dei disabili. Si tratta di Barbara Pavarotti, 66 anni, già vicecaporedattore al Tg5. Oggi è presidente del Collegio dei Revisori dei conti dell’Ordine dei giornalisti del Lazio e fa parte dell’Unione nazionale giornalisti pensionati e del Gruppo romano giornalisti pensionati.
Centinaia di migliaia di anziani sono costretti a pagarsi la loro morte in Rsa e in “case di riposo” private. Un business spaventoso sulla pelle dei più fragili. In queste strutture ben 100.000 persone sono tuttora sottoposte a contenzione. E quasi tutti hanno un amministratore di sostegno che, per legge, decide tutto al posto dell’anziano, lo priva giuridicamente di ogni diritto e libertà.
Questa figura è stata istituita per legge nel 2004. Nata con le migliori intenzioni - tutelare chi non ce la fa da solo, nel suo esclusivo interesse - è diventata, negli anni, una “camicia di forza”. Un’interdizione mascherata. Perché gli amministratori di sostegno non hanno alcun limite al loro potere: gestiscono i conti correnti; vendono beni e proprietà degli amministrati; li ricoverano contro la loro volontà; decidono dove devono vivere e quali cure devono seguire; possono isolarli dal mondo e spezzare legami affettivi decennali. Si sostituiscono agli amministrati in ogni decisione economica e pratica che li riguardi. La volontà degli interessati conta meno di zero, benché la legge dica altro.
Gli amministratori di sostegno vengono nominati dai giudici tutelari dietro istanza, spesso, delle stesse famiglie, che non sanno a cosa vanno incontro. Pensano che possano essere d’aiuto nella gestione del congiunto, invece si ritrovano poi esclusi da ogni scelta. Il loro operato dovrebbe essere controllato dai giudici tutelari, ma la realtà è ben altra. I tutelari hanno troppo da fare e, una volta nominato il “sostegno”, ben raramente intervengono.
Si arriva al paradosso che l’ads (acronimo di amministratore di sostegno) può non fornire ai figli informazioni sanitarie sul genitore, in quanto “sono dati sensibili che non possono essere rivelati a terzi”. È successo a Carla, la cui madre è morta senza che lei potesse sapere quanto fosse grave. Poi c’è il padre di Cristina, che è stato legato al letto per tre mesi solo perché ogni sera preparava il bagaglio per uscire dalla Rsa e voleva a tutti i costi andarsene. È morto.
Muoiono tutti, muoiono soli, fra estranei, col divieto, imposto spesso dall’ads, di ricevere visite ritenute - a esclusivo arbitrio dell’amministratore - “pericolose”. Perché costoro devono sospendere ogni contatto col mondo, altrimenti non si abituano. Nessuno di loro può mai più rivedere la propria casa che, in genere, viene smantellata e monetizzata dall’ads - col pieno consenso del giudice tutelare - per pagare la retta del luogo di morte. E a moltissimi - appena entrati in Rsa - l’ads arriva a sequestrare il telefono, in modo che non abbia più possibilità di parlare con nessuno, con la scusa “tanto non lo sa più usare”.
I divieti degli ads, avvalorati spesso col silenzio-assenso dei giudici tutelari, rasentano i “crimini contro l’umanità”. Calpestano diritti inviolabili garantiti costituzionalmente. In primis l’articolo 2 della Costituzione: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». E poi l’articolo 13: «La libertà personale è inviolabile».
A Rina, vissuta 24 anni con Sonya, l’ads ha vietato di vedere l’amore della sua vita, ricoverata in struttura, per due anni. Rina ha saputo della morte di Sonya solo a funerali avvenuti.
Il giudice tutelare del compagno di Chiara - ricoverato in Rsa contro la sua volontà dal suo ads - le ha negato persino il permesso di poterlo portare a prendere un gelato. Lui si sta spegnendo chiedendo invano di tornare a casa da Chiara.
E tutto questo accade per una legge, la numero 6 del 2004, che è quanto di più vago ci sia, quindi si presta a ogni abuso e interpretazione distorta. La legge dice solo che l’ads «deve fare l’interesse del beneficiario con la minore limitazione possibile». Ma a stabilire questo “interesse” di fatto è una sola persona. Come può un unico individuo decidere il destino di un altro? Quanto alla «minore limitazione possibile», nel corso degli anni, è diventata un bluff.
Gli ads, col giuramento, diventano pubblici ufficiali, ma abusano del loro potere alla grande, quasi sempre nella totale indifferenza dei giudici tutelari, che non hanno nemmeno un termine per rispondere alle istanze di chi segnala abusi e sopraffazioni. Possono rispondere dopo mesi o mai. E intanto i tutelati, per i quali il tempo è ormai agli sgoccioli, muoiono e il problema finisce.
Questa è una realtà oscura di cui non parla nessuno, perché in ballo ci sono troppi interessi. I media si occupano di casi struggenti, di anziane in fuga dalla Rsa, ma mai osano toccare il problema che c’è dietro: l’amministrazione di sostegno.
Amministrazione data a pioggia quando sei anziano e cominci a sfarfallare. È questa davvero la soluzione giusta per chi invecchia? No. Gli anziani non devono mettere piede nei tribunali, non sono dei criminali. Ogni volta che un anziano viene trascinato in tribunale senza nemmeno capire cosa gli sta accadendo è una sconfitta. Finisce intrappolato in un tunnel giudiziario da cui non uscirà mai. La liberazione è solo con la morte. «Fine pena mai» - dice l’associazione radicale Diritti alla Follia - diventano detenuti senza processo con l’unica colpa di essere vecchi e di avere qualche infermità. [Ma i Radicali nono “ageisti” di prim’ordine: promuovendo aborto ed eutanasia discriminano davvero le persone in base all’età! NDR]
Il diritto di morire a casa propria è inalienabile. Maria dichiara: «Piuttosto che finire in Rsa preferisco suicidarmi». Forse è proprio questo che si vuole?
Nel 2016 il Comitato per l’attuazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità ha chiesto all’Italia di «abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno». L’Italia non ha fatto nulla.
E ormai, per fermare la “deportazione” quotidiana di centinaia di anziani, non resta che chiedere al Governo di introdurre un nuovo reato: quello di internamento coatto. Altrimenti tutti moriranno a stento in luoghi con le sbarre ai letti e alle finestre nelle nuove “prigioni” per vecchi.
Chi scrive non può vedere il proprio compagno da oltre un anno, ricoverato contro la sua volontà in una struttura privata, dove - e questo è un altro scandalo ignorato - per ricoverare una persona non occorre nemmeno un certificato medico che ne attesti la necessità. Basta pagare. Non lo potrà vedere mai più, per ordine dell’ads a cui il giudice tutelare ha dato questo potere. Anche se il divieto di visite non è scritto nel decreto di nomina, a cui gli ads dovrebbero attenersi scrupolosamente.
Invece vietano, dispongono, ordinano e quando amministratori di sostegno e giudici tutelari arrivano a dire che può essere pericolosa, per “il bene” dell’amministrato una carezza, allora davvero non c’è più salvezza.
Esiste, da poco, un docufilm ,realizzato da chi scrive con la regista-sceneggiatrice Roberta Zanzarelli. Si intitola La prigionia dei vecchi e degli inutili, ed è il primo e unico fatto finora in Italia su questo tema. Non è un lavoro, è una missione disperata. Perché, come dice uno dei tanti testimoni, Bruno, «io volevo solo morire a casa mia, che invece è stata affittata a estranei e tutti i miei ricordi finiti chissà dove. In struttura ho una stanza, prima avevo una casa». Lo trovate su internet, al canale YouTube di Barbara Pavarotti. Se lo vedete, non sarete mai più indifferenti.
Comunque l’errore di questa legge è nel manico: affidare a una giustizia, da sempre ingolfata, centinaia di migliaia di anziani e fragili. Risultato: tribunali ingolfati, impossibilità totale per i giudici di seguire i tutelati. E ormai lo ammette lo stesso “padre” della legge, il giurista Cendon che, in una recente intervista a Canale 81, ha dichiarato: «Abbiamo scaricato sui giudici una marea di problemi. Scelta ridicola».
Ma nessuno ha intenzione di cambiare o riformare questa legge, perché gli anziani e i fragili non servono a nulla, siamo in piena cultura dello “scarto”. Nessun figlio viene più cresciuto con l’idea di essere “il bastone della vecchiaia” dei genitori.
È fondamentale, ormai, una regolamentazione del ruolo degli ads, troppo spesso improvvisati e senza alcuna formazione. Urge almeno che siano inquadrati in un ordine professionale, con praticantato, esame finale, codice deontologico e commissioni disciplinari. Al momento è la giungla. Non si capisce nemmeno cosa siano: coregie, factotum, badanti, gestori dei soldi. L’applicazione di questa legge è diventata una sorta di recita a soggetto, dove ognuno interpreta il ruolo a modo suo.
Di sicuro il cappio giudiziario per gli anziani è l’ennesimo castigo inflitto a fine vita. Sandro, ricoverato da oltre un anno, dice: «L’amministratore di sostegno mi ha tolto tutto: cellulare, documenti, la mia casa. Non ho un centesimo in tasca e non so più quale sia la mia casa, perché sono rinchiuso, con le sbarre dovunque. Non posso andare in bagno la notte, che dura dodici ore. La devo fare nel pannolone che la struttura mi ha imposto appena entrato. Prima camminavo, ma già dopo due mesi ero in carrozzella, legato. Per la mia sicurezza, hanno detto. Mi danno cibo per vecchi, ho dimenticato odori e sapori che amavo. In un anno ho perso 15 chili. Io volevo solo morire a casa mia, l’ads me l’ha tolta, smantellata di tutto, e l’ha affittata per pagarmi la mia morte a 2.500 euro al mese».
Articolo a cura di Barbara Pavarotti, già pubblicato sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 120 - Luglio/Agosto 2023