La scontentezza è il male oscuro del nostro tempo. L’uomo contemporaneo ha tutto a disposizione ma non è mai felice. Questa inquietudine, questo disagio, però, non hanno gli sbocchi di ribellione e di rabbia del recente passato. Marcello Veneziani ha trattato questo tema, così ampio, difficile, quasi inafferrabile, nel suo nuovo saggio Scontenti. Perché non ci piace il mondo in cui viviamo (Marsilio, 2022).
«Avvertiamo la decadenza dei rapporti umani, civili e intersessuali, e dei rapporti tra cittadini e istituzioni; è la perdita delle differenze nel segno dell’omologazione e la perdita delle comunanze nel segno dell’atomizzazione – scrive Veneziani su Panorama, presentando il suo libro –. L’umanità appare in pericolo, incalzata da mutazioni genetiche ed ecologiche, dagli scompensi tra sovrappopolazione mondiale e denatalità occidentale e da fattori molteplici che destabilizzano il mondo e i legami: l’avvento del transumano, il genderfluid, l’intelligenza artificiale, le neuro-tecnologie, la preminenza del virtuale sul reale, della tecnica sull’umanesimo, della finanza sulla cultura. Il disagio, lo spaesamento che ne deriva, radica lo scontento; lo rende permanente e non passeggero, sostanziale e non occasionale».
La rivoluzione antropologica “transumanista”, con tutte le aberrazioni del caso, non sarebbe possibile, se l’uomo accettasse la realtà, il proprio destino e il proprio ruolo naturale. Al tempo stesso, però, come spiega lo stesso Veneziani a Pro Vita & Famiglia, c’è anche una scontentezza sacrosanta: quella di chi, di fronte al rullo compressore della cancel culture e del nichilismo autoritario dilagante, ha la forza di alzare la testa e dire basta.
Marcello Veneziani, stando ai contenuti del suo libro, l'umanità non è più ribelle, né arrabbiata, né rancorosa ma semplicemente scontenta: che evoluzione antropologica stiamo vivendo?
«La scontentezza è il male oscuro della nostra epoca, è uno stato d’animo che precede la rabbia o la ribellione, l’odio e il rancore, anzi ne costituisce la premessa. Ha radici profonde, ma la causa scatenante oggi è che sono cresciute enormemente le aspettative e si è creata una frattura incolmabile tra la realtà e i desideri. Ma tutto questo non è semplicemente un frutto spontaneo di un clima: c’è chi sulla nostra scontentezza fonda il suo potere e la nostra dipendenza, costruisce il suo mercato e stimola la nostra pulsione a consumare».
Il transumanesimo, l'intelligenza artificiale, l'ideologia gender sono tra le conseguenze di questa scontentezza oppure, piuttosto, contribuiscono ad alimentarla?
«Sono strettamente intrecciate alla scontentezza perché sono originate dal rifiuto della realtà, della natura e dell’identità, dal desiderio di mutare, dalla voglia di negarsi e diventare altro da sé. Non penseremmo al postumano, all’intelligenza artificiale, al transgender se accettassimo il destino della nostra umanità, della nostra intelligenza e della nostra natura: ma siamo scontenti di ciò che siamo e di ciò che ci circonda; o meglio, siamo indotti a questa scontentezza».
Quali aspetti delle suddette tematiche ha approfondito in modo particolare nel suo saggio?
«In Scontenti e nel saggio che lo precede e ad esso si collega, La Cappa, mi sono riferito a questi aspetti salienti della nostra epoca e a questo rifiuto delle identità e delle differenze, dei nostri limiti e della nostra storia; ne ho anche colto la correlazione con la cancel culture e il politically correct, che è il sostrato ideologico di quella visione. Pilotare la nostra scontentezza è la missione della fabbrica dei desideri che domina nella nostra società e veicola modelli artificiali di vita».
Parliamo di una categoria molto specifica di scontenti: coloro che hanno preso sul serio - opponendosi ad essa - la diffusione dell'ideologia gender o della carriera alias nelle scuole. Che tipo di persone sono e come le collocherebbe nel tempo che viviamo?
«Sono scontenti in altro senso e in altro modo, rispetto a coloro che subiscono l’influenza di quelle agenzie mediatiche, ideologiche e culturali che istigano a rifiutare se stessi. Sono scontenti, al contrario, di quell’egemonia, non accettano di sottostare a quel dominio divenuto ormai asfissiante, che passa anche dal cinema, dall’arte, dalla tv e dalla scuola. Ma lo sono nel nome delle identità e delle differenze, della natura e della tradizione, difendono la realtà con tutte le sue imperfezioni e non accettano la sostituzione della vita vera con il suo surrogato. Quella scontentezza è sacrosanta, e se espressa con intelligenza e realismo, è l’antidoto rispetto alla falsificazione del mondo reale».