L’altroieri, il 23 novembre, come avevamo preannunciato, si sarebbe dovuto discutere all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di utero in affitto.
Grazie agli sforzi di diverse organizzazioni pro vita e pro famiglia (come No Maternity Traffic) e alla sensibilità di alcuni membri dell’Assemblea, il Comitato per gli Affari Sociali, la Salute e lo Sviluppo Sostenibile, ha deciso di rimandare il dibattito a data da determinarsi.
Le ragioni sono, in generale, la complessità dell’argomento e, in particolare, il sospetto di conflitto d’interessi della relatrice, Petra de Sutter (Belgium, SOC).
La senatrice belga, infatti è ginecologo e presidente del Dipartimento di Medicina della Riproduzione presso l’Ospedale Universitario di Gant, che è uno dei quattro ospedali belgi in cui si pratica l’utero in affitto, senza regole, perché l’ordinamento giuridico belga non disciplina in alcun modo la questione. La De Sutter aveva detto il 3 febbraio di quest’anno al quotidiano belga La Libre: “Io sono a favore di un regime liberale di maternità surrogata, ma bisogna agire contro ogni forma di commercializzazione”.
Ci chiediamo come possa essere a titolo perfettamente gratuito una pratica che di per sé ha costi altissimi. Ne riparleremo approfonditamente nel numero speciale di Notizie ProVita che sarà pubblicato il prossimo gennaio.
Sulla questione dell’utero in affitto, molti denunciano giustamente che tale pratica rappresenta una forma di sfruttamento del corpo femminile. Ma ciò non è sufficiente.
E’ bene ricordare anche che i bambini diventano oggetti di compravendita, e che sono volutamente separati dalla madre, in violazione della Convenzione sui Diritti del Bambino che afferma che ogni bambino ha il diritto di conoscere i suoi genitori e di essere allevato da loro (articolo 7.1). Va da sé che il neonato di per sé non ha modo di tutelare i suoi diritti: sta alla società civile tenerli in considerazione.
E poi – senza il bisogno di ricorrere a norme e cavilli giuridici – basta a qualsiasi persona di buon senso pensare al dolore che prova un bambino quando viene separato dal corpo che per nove mesi l’ha nutrito, custodito e cullato.
Qui il comunicato stampa dell’associazione No Maternity Traffic.
Francesca Romana Poleggi