28/01/2013

Una sola giornata per la sua vita, per noi un’unica “Giornata per la vita”

Una riflessione in vista della XXXV edizione dell’iniziativa, in programma il 3 febbraio prossimo

È chiamata così: “Giornata per la Vita”. Cade la prima domenica di febbraio, dunque quest’annola XXXV Giornataper la Vita sarà celebrata il 3 febbraio.

Per una strana coincidenza, il 3 febbraio del 2006 nacque nostro figlio Francesco. Quella è stata la sua giornata per la vita, la sua unica giornata per la vita: il 4 febbraio, infatti, morì, per una patologia incurabile. La coincidenza di date può far pensare ad un amaro scherzo del destino e, del resto, l’intera esistenza di Francesco sembrò ad alcuni uno scherzo della natura, come quelle piccole libellule che, dopo una lunga fase larvale, vivono un solo giorno.

Microcefalia. La diagnosi era arrivata inaspettata un giorno di ottobre. Era solo una parola ma definitiva; un’irrevocabile sentenza di morte per nostro figlio e per l’animo di noi genitori. La sua testa era troppo piccola per consentirgli di vivere, la nostra testa era troppo piccola per capire.

Ci trovammo così ad affrontare l’assurdo di un feto destinato al feretro. Ci trovammo soli. Molti attorno a noi non capivano e preferivano negare quell’assurdo, sopprimerlo. Interrompere la gravidanza: questa la “migliore” soluzione, l’unica da molti prospettata. Per il bene… per gli altri figli, per noi stessi. Del resto, ci disse un medico, finché è nella pancia «è come un parassita e non c’è alcun vantaggio a portare avanti una gravidanza così».

Sì, ci trovammo soli, distanti da tutti e perfino da noi stessi: il cuore diceva una cosa, ma la testa… le frasi ascoltate strisciavano suadenti fra i nostri pensieri alimentando il dubbio radicale: ne valeva la pena? Chi lo voleva un essere così, inutile? Cosa era, chi era realmente? Dove era Dio, in tutta questa storia?

Una notte mi svegliai, mia moglie era in lacrime accanto a me. Ci sono notti che sembrano più buie delle altre. Cominciammo allora a pregare, senza neppure alzarci dal letto. Non volevamo spiegazioni, volevamo aiuto. Non volevamo conoscere il motivo, ma il senso. Non volevamo cambiare strada, volevamo essere accompagnati lungo la via.  Aprimmo il vangelo a caso, trovando il passo di Luca dove è scritto: «Gesù era figlio come si credeva di Giuseppe, figlio di Eli, …figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio»… Cominciammo a piangere tutti e due: Francesco, figlio nostro, Francesco figlio di Dio.  Ecco Chi, prima di noi, lo aveva voluto così, lo aveva voluto per sé, lo aveva voluto per noi. Nella risposta, una conferma. In fondo, credo, era come se già lo sapessimo, ma aspettavamo che Qualcuno ce lo dicesse. Quella sentenza irrevocabile, quella parola di morte, si trasfigurava in una parola nuova. Francesco divenne parola per noi, forse parola per tutti, eco dell’unica parola, eterna ed irrevocabile: Amore.

Con questa consapevolezza affrontammo i successivi controlli, sentendoci “accompagnati”, non più soli. Combatterono al nostro fianco i nostri figli, pregando insieme con noi, tutte le sere per il fratellino malato. Camminarono con noi i fratelli della nostra parrocchia e delle comunità neocatecumenali. E scoprimmo alleati preziosi, le famiglie dell’associazione La Quercia Millenaria, con la loro confortante testimonianza: con loro siamo entrati in una rete di sostegno e di affetto, una risposta concreta alla solitudine soffocante dei giorni precedenti.

Anche per le visite mediche successive facemmo affidamento ai medici dell’associazione, come il professor Giuseppe Noia dell’Ospedale Gemelli di Roma. Ricordo che nel nostro primo incontro guardando l’ecografia, guardando oltre l’imperfezione, riconobbe in quell’immagine e in noi un’umanità ferita: «È un maschietto… come lo chiamate?» Piangendo, pronunciammo il suo nome: «Francesco». Un parassita non ha un nome proprio. Un figlio sì.

Francesco è nato il 3 febbraio; quel suo volto imprevedibile e immaginato sfogliando ansiosamente libri di medicina ci aveva messo paura finché non lo abbiamo visto realmente, bello e tondo come la luna. Dopopoche ore dalla nascita, nel reparto di terapia intensiva neonatale ha ricevuto il battesimo, e il sacramento ci ha aperto un orizzonte nuovo: dove tutti, io per primo, dubitando di questo figlio, davanti alla sua fragilità mostravamo la nostra fragilità, Dio mostrava la sua gloria, la sua proposta d’amore. Di questo bimbo Lui solo non aveva mai dubitato, anzi lo aveva preferito al suo stesso Figlio, aveva anteposto l’imperfetto al Perfetto, il fragile all’Eterno, lasciando che morisse la Vita perché lui avessela vita. Il battesimo di Francesco aveva squarciato il senso del tempo brevissimo della sua stessa esistenza spalancando l’eternità, aveva realizzato la parola di quella notte di pianto: Francesco figlio nostro, Francesco figlio di Dio.

È vero, quest’anno la Chiesa il 3 febbraio ci invita a celebrare la vita e proprio in quel 3 febbraio la Vita, per un insolito privilegio, aveva scelto noi per essere celebrata in modo speciale: stavamo là, accanto a Francesco, accompagnandolo nel suo breve viaggio, accarezzandolo, nella sua unica giornata per la vita. Poche ore, proprio come per quei piccoli insetti che dopo una lunga fase larvale, vivono un solo giorno. Le chiamano libellule effimere. Ma il nome non dice il vero: non è mai effimera la vita, anche se ha un solo giorno per volare in alto.

di Massimo Losito

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