26/01/2024 di Matteo Delre

Triptorelina, il farmaco bloccante della pubertà al centro del caso Careggi. Ma cos’è?

Dice lo scrittore americano Eric Hodgins: «Un medicinale miracoloso è qualsiasi medicina che faccia ciò che l'etichetta dice che farà». E sarebbe davvero un miracolo, oggi, trovare un farmaco di questo tipo: non perché ci siano dubbi sull’efficacia dei molti attualmente disponibili, ma per l’ampia trasversalità con cui da tempo essi vengono usati. Prendiamo come esempio la triptorelina, il farmaco definito “bloccante della pubertà”, in questi giorni al cento del caso – e possibile scandalo – dell’Ospedale Careggi di Firenze.

Potessimo leggere la relativa etichetta, scopriremmo che si tratta di una sostanza alla base dei farmaci utilizzati nel trattamento dei sintomi del tumore alla prostata in fase avanzata di sviluppo. Viene utilizzata in questo modo perché è in grado di agire come inibitore della produzione di ormoni. Detto in modo ancora più semplice, fa diminuire il livello di testosterone. È infatti noto fin dal 1966 che quell’ormone rappresenta “la benzina” che alimenta il tumore alla prostata (oltre 35.000 diagnosi in Italia nel 2018): lasciare la neoplasia “a secco” fa quindi parte delle strategie, insieme alla chirurgia e alla radioterapia, per combattere un male che ancora oggi uccide circa 375mila persone al mondo ogni anno. E' però doveroso precisare che i bloccanti della pubertà causano spesso infertilità e che tutti gli effetti indesiderati sono irreversibili, ma ovviamente i fautori del gender e della transizione di genere per i minori tendono ad insabbiare e nascondere questi "dettagli" così fondamentali.

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Quello che pochi sanno è che il testosterone circola anche nel corpo femminile, sebbene in proporzioni decisamente inferiori. Viene prodotto dalle ovaie e dalle ghiandole surrenali ed è utilizzato per rafforzare le ossa, contribuire a funzioni neuroprotettive, stabilizzare l’umore, i livelli di energia, il desiderio sessuale e altre importanti funzioni corporee. Nelle donne la triptorelina risulta utile per combattere lo sviluppo delle neoplasie al seno e ridurre le possibilità che un tumore in stadio iniziale si ripresenti nelle pazienti che non hanno ancora raggiunto l'età della menopausa. In questo caso, la triptorelina funziona da “ritardante” della menopausa stessa. Insomma, anche a voler leggere il foglietto illustrativo con uno sguardo generoso, potremmo tranquillamente sostenere che la triptorelina è un alleato prezioso degli uomini e delle donne per la lotta contro vari tipi di cancro che ancora mietono numerose vittime in tutto il mondo, Italia compresa.

Ma non è tutto. L’uso della triptorelina – da qualche anno – è stato ampliato e viene infatti, anche in Italia, utilizzata per fermare lo sviluppo della pubertà in soggetti con pubertà precoce, una casistica considerata tra le “malattie rare” e che infatti in Italia ha un’incidenza di 1 caso ogni 1.000. In quelle circostanze, viene prescritta a soggetti di età inferiore a 8 anni nelle bambine e inferiori a 10 anni nei bambini, previa diagnosi e piano terapeutico elaborato da centri specialistici e solo dietro prescrizione medica, con copertura del Sistema Sanitario Nazionale. Somministrabile tramite iniezione, la triptorelina agisce sulle attività delle gonadi e sull’ipofisi e un suo uso cronico porta alla soppressione del sistema ormonale collegato e delle funzioni testicolari o ovariche. Ed è un po’ qui che casca l’asino.

È infatti soprattutto questa capacità che ha reso la triptorelina uno di quei farmaci che, utilizzati al di fuori della loro funzione propria, riescono a non essere il farmaco miracoloso citato nella battuta di Hodgins, servendo essi a scopi ulteriori. Infatti, come si è chiesto qualcuno, se essa può agire per rallentare o fermare una condizone reale come la pubertà precoce, perché non la si può usare anche per condizioni di natura psicologica o psichiatrica, laddove un soggetto senta di avere una “identità sessuale” ancora non definita o opposta a quella biologica?

Ecco quindi che arriviamo all’ormai famosa “disforia di genere”, un tipo di situazione da sempre considerata rarissima e che mai si era pensato di trattare assecondandone le manifestazioni. Ma, come si sa, da qualche decennio ha preso piede un nuovo approccio: di fronte all’indecisione sull’identità sessuale o all’autopercezione di sentirsi “nel corpo sbagliato”, la triptorelina viene considerata come una possibile soluzione, se non addirittura l’unica proposta.

Ecco allora che l’impiego negli adolescenti con (asserita) disforia di genere diventa pane quotidiano. Il supporto a questo tipo di normalizzazione dell’anormale uso di un farmaco è stato così efficace che, con la determina n. 21756/2019, l’AIFA ha inserito la triptorelina nell'elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale, per l’impiego in casi “selezionati” di disforia di genere, con diagnosi confermata da un’équipe multidisciplinare e specialistica e in cui l'assistenza psicologica, psicoterapeutica e psichiatrica non risulti risolutiva.

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Condizioni, a parer nostro, formulate in modo generico, nebuloso e molto facilmente scavalcabili qui in Italia, pressoché inesistenti in altri paesi occidentali (come Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna), dove la disforia di genere è letteralmente esplosa, insieme all’assunzione di bloccanti della pubertà, oltre che un’ansia aggiuntiva per genitori insicuri, disponibili a mettersi nelle mani delle più varie lobby non appena il proprio bimbo tocca una bambola o la propria bimba tocca un pallone.

Come ogni farmaco che si rispetti, infine, la triptorelina ha anche una serie di effetti collaterali o indesiderati. Tanto per cominciare, sopprimendo il testosterone, si porta dietro e verso il basso anche gli estrogeni, cosa che può portare a una riduzione della densità minerale ossea, l’osteoporosi e a un aumentato rischio di fratture. Inoltre, si possono verificare: vampate di calore, impotenza, diminuzione della libido, nausea, disordini del sonno, spossatezza, riduzione della massa muscolare, dolore delle articolazioni, aumento di peso e alterazione dell'umore. L’insorgenza di tali effetti collaterali può ripercuotersi sullo stato di salute generale dei pazienti e sulla loro qualità di vita.

Infine, è stato osservato che circa il 50% di uomini con tumore della prostata sviluppa la sindrome metabolica, caratterizzata da un aumento dei livelli ematici di colesterolo LDL e trigliceridi, bassi livelli di colesterolo HDL, ipertensione arteriosa e ridotta tolleranza al glucosio. Detta in termini da comuni mortali: alto rischio di infarto e ictus per gli adulti e precursori di quegli eventi, come l’aumento di pressione arteriosa, per soggetti in età infantile. Insomma, non esattamente un toccasana, da assumere con estrema attenzione e solo nei casi previsti. Il bimbo che lascia macchinine e camioncini per giocare con una bambola non è sicuramente uno di essi.

 

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