17/07/2016

Transgender a 16 anni, anche in Italia

Il fenomeno inquietante dei transgender bambini è noto ai nostri Lettori (si veda qui, qui, e qui e qui. Abbiamo riportato fatti che accadono in Cilein Scozia, in Argentina, in Norvegiain Toscana).

Abbiamo anche detto dei due milioni e seicentomila sterline spesi dal Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito per sottoporre oltre mille bambini alle cure ormonali propedeutiche all’operazione di riassegnazione del sesso (nel 2010 erano stati contati 97 casi di bambini con disforia di genere; 1.013 i casi registrati in soli nove mesi dello scorso anno).

Ora, pian piano, anche in Italia ci stiamo adeguando.

La propaganda dell’ideologia del gender ha ottenuto il risultato che si prefiggeva: genitori confusi e male informati, autorità accecate dall’ideologia che non vedono i veri bisogni delle persone e il bene comune; e, soprattutto, come denuncia da anni Walter Heyer, grassi profitti per le industrie farmaceutiche e le cliniche specializzate in tali operazioni.

A proposito di propaganda, si legga l’articolo del Corriere.it che parla del secondo caso di transgender bambino che è stato autorizzato del Tribunale di Roma  «a sottoporsi a trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali da maschili a femminili» e ha ordinato «la rettifica degli atti di stato civile in riferimento al sesso (da maschile a femminile) e al nome».

Il ragazzo ha 16 anni. Da 3 si veste da ragazza e ha fatto outing: si sente femmina fin da bambino. I genitori l’hanno compreso e assecondato. Da allora è in psicoterapia e dopo un anno (quindi ne aveva 14) ha cominciato a prendere i  cosiddetti farmaci ipotalamici, gli ormoni che vengono somministrati a bambini da 9 anni in poi, per bloccare la pubertà.  Un anno dopo ha cominciato a prendere gli estrogeni che gli hanno dato forme femminili e finalmente ora potrà coronare il suo sogno: si potrà amputare i genitali e fare una plastica per somigliare a una donna anche dalla cintola in giù.

Il buon senso e anche la scienza dicono che “cambiare sesso” non si può. Le persone con disforia di genere vanno rispettate, comprese, aiutate, ma l’operazione deve essere una ratio extrema, giustificata solo da fattori genetici e (quindi fisici) molto seri.

Non abbiamo elementi per giudicare il caso romano, se non l’articolo del Corriere che a leggerlo fa venire la carie per quanto è zuccheroso. Ma vogliamo prenderlo per buono e immaginare che questo sia uno dei casi di disforia di genere che rientra il quel 10% che non si sarebbe risolto spontaneamente con l’età adulta.

Il ragazzo in questione e – soprattutto – i genitori sono stati informati che la maggioranza de transgender operati ha trovato solo un’apparente  felicità (che è quella che ha trovato il soggetto in questione, secondo il Corriere) effimera? Dopo poco tempo i problemi che hanno originato la disforia di genere si sono ripresentati in tutta la loro drammaticità generando di nuovo quella infelicità che la “mascherata” per un momento sembrava aver scacciato?

Come si può assecondare un ragazzino di 13 anni e consentirgli di accedere a un trattamento farmacologico e chirurgico così invasivo e permanente,  così giovane?

E’ un buon medico quello che accontenta sempre il paziente? (Leggete un po’ qui...)

Dice il Corriere che il ragazzo «fa parte di una nuova generazione di giovani transgender e transessuali che non ha avuto bisogno di aspettare l’età adulta per capire la propria condizione e, grazie al sostegno della famiglia, ha potuto avere una qualità di vita e un benessere psicologico un tempo impensabili». Per quanto tempo? E’ normale non dover aspettare l’età adulta per fare certe scelte così radicali e determinanti? A che serve, allora, “l’età adulta”?

Una nuova generazione: bambini vittime della propaganda ideologica che domani saranno adulti infelici, in crisi, inclini alla depressione, all’abuso di sostanze...

Dice Walter Heyer, lui è un ex transgender e dedica la vita ad aiutare davvero le persone con disforia di genere, che i transgender hanno bisogno di cure psichiatriche, non tanto per la disforia di genere in sé, quanto per le diverse patologie che sono all’origine di essa, “ma spesso non hanno nessuno ad aiutarli. Un sondaggio 2011  ha rilevato che il 41 per cento delle persone transgender hanno tentato il suicidio almeno una volta. Infelicità e suicidi sono sempre stati segnalati nella letteratura scientifica e nelle documentazioni conservate dalle cliniche che si occupano di chirurgia estetica di riassegnazione del sesso: gli alti tassi di suicidio tra la popolazione transgender dopo l’operazione hanno dimostrato che la chirurgia non è una soluzione al problema, ma solo una tregua temporanea”.

Sempre Heyer, commentando un recente film che ha per protagonista un transgender: “In una scena di  The Danish Girl, uno specialista diagnostica a Einar una schizofrenia paranoide. Einar fugge comprensibilmente e giustamente per paura di “trattamento” barbaro cui – a quei tempi – lo avrebbero sottoposto.

Attendo con ansia il giorno in cui il prescrivere l’intervento chirurgico per cambiare sesso a tutti coloro che soffrono di disforia di genere sarà considerato un trattamento altrettanto barbaro.

Francesca Romana Poleggi

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