09/11/2022 di Federico Cenci

Terra natìa, famiglia e tradizione in Giovanni Lindo Ferretti

Ha abbandonato i monti su cui era nato e cresciuto, ha girato il mondo, ha penetrato l’essenza di un’ideologia atea contemporanea. Ma alla fine - come ama ripetere lui stesso - è «tornato a casa». La vita di Giovanni Lindo Ferretti, fondatore e frontman dei CCCP – Fedeli alla linea e dei CSI, è una traiettoria circolare. È come se una sorta di “magnete dell’anima” incastonato nella famiglia, nella terra natìa e nella tradizione abbia esercitato una forza di attrazione irresistibile persino nei confronti di uno dei simboli italiani del punk politicamente schierato.

Giovanni Lindo Ferretti è oggi un uomo riservato. Vive là dove è nato e dove ha passato l’infanzia, a Cerreto Alpi, nell’Appennino reggiano. Si prende cura dei suoi cavalli, continua a cantare e a scrivere, e inoltre prega molto. E proprio il binomio tra queste due ultime attività, la scrittura e la preghiera, ha dato vita al suo più recente libro, uscito in settembre, mese in cui ha compiuto sessantanove anni: Óra – difendi conserva prega (Aliberti Compagnia Editoriale).

Questo breve volume è un inno all’orazione cristiana, ma anche un’occasione per riavvolgere il nastro di una vita effervescente, votata alla ricerca di senso. Il Giovanni Lindo Ferretti che si mette a nudo è un bambino educato alla preghiera da sua nonna negli anni duri del secondo dopoguerra.

Quello stesso bambino, una volta divenuto un giovane uomo, decide però di voltare le spalle al “piccolo mondo antico” per tuffarsi nel seducente mare magnum della modernità. «Ho creduto la mia libera scelta, finanche rivoluzionaria, incarnare gli ideali di una cultura progressista che stava ridefinendo il mondo», scrive. Il comunismo, la musica punk, la brama di trasgressione che si manifesta nelle bestemmie. Eloquente era l’aspetto esteriore di Ferretti, con cui lui stesso si descrive oggi: Stivali dell’Armata Rossa, braghe militari della DDR, bretelle, giacca di pelle nera, cresta colorata, smunto, occhi scavati.

Eppure, dietro questo paradigma del frequentatore del mercato londinese di Camden Town o dei locali underground di Berlino, continuava a celarsi un uomo dalle radici ben piantate a Cerreto Alpi, nella casa di campagna e nelle litanie recitate insieme alla nonna. La preponderanza di un’estetica radicale e di un’ideologia sovversiva non era riuscita a recidere il legame con la famiglia di origine e con il focolare domestico. E così, «sul finire di una imprecisata giovinezza», annota Ferretti, «i motivi di soddisfazione conseguenti le mie scelte personali, politiche e direi anche estetiche che tutto mi sembrava così brutto, diminuivano a vista d’occhio». Ma mentre diminuivano i motivi di soddisfazione derivanti dalle scelte giovanili, si dilatava il desiderio di «tornare a casa». D’altronde, riflette ancora Giovanni Lindo Ferretti, in ognuno di noi «c’è una storia: uomini e donne, genealogie e parentele, attitudini ed usanze, capacità, grazie e disgrazie». In ognuno di noi, c’è un legame con un qualcosa che ci ha preceduto. C’è una famiglia.

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