02/09/2019

Tafida. L’ospedale vuole ucciderla, ma il 9 settembre si pronuncerà l’Alta Corte

Sta lasciando col fiato sospeso l’Europa e l’Italia quello che rischia, ormai da un po’ di tempo, di diventare un nuovo caso Charlie Gard o Alfie Evans, ovvero quello della piccola Tafida Raqeeb, la bambina di appena 5 anni, figlia di una coppia di inglesi di origine bengalese, che rischia di essere condannata a morire per il solito “migliore interesse”. Il rischio di morte della piccola in questi giorni non arriva per una sentenza, ma per via della decisione del Royal London Hospital, in cui è ricoverata. L’ospedale, infatti, vorrebbe sospendere al più presto la respirazione artificiale che le consente di vivere. Un caso, di cui Pro Vita & Famiglia si è già occupata che risulta particolarmente grave, in quanto le condizioni della bambina non rientrerebbero nella definizione di morte cerebrale e dunque la piccola paziente non dovrebbe essere soggetta, in alcun modo, all'interruzione di un supporto vitale come la ventilazione.

I suoi genitori, Shelima Begum e Mohammed Raqeeb, dopo aver preso atto delle intenzioni del Royal London Hospital, hanno fatto ricorso al tribunale amministrativo della capitale inglese per chiedere di trasferire la bambina qui da noi in Italia, all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, che ha offerto generosamente la disponibilità ad accogliere la piccola, trasportandola in sicurezza.

In questi giorni, però, con un grave colpo di mano, per di più in assenza dei genitori di Tafida, i medici dell’ospedale britannico hanno cercato di sottoporre la paziente ad un nuovo esame, senza l’autorizzazione dei genitori e dei giudici. «Vogliono dimostrare che deve morire. Nessuno tocchi nostra figlia», ha detto sconvolta, come riporta Avvenire, Shelina.

Il 9 settembre l’Alta Corte britannica deciderà se la bambina potrà essere trasferita in Italia. «Per questo» afferma sua madre «i medici di Londra sono nel panico e hanno provato un colpo di mano. Si stanno comportando male, sono pronti a tutto, ma lo siamo anche noi: io e mio marito da sei mesi viviamo notte e giorno in ospedale con Tafida e sappiamo con certezza che lei riconosce la nostra voce, ci segue con lo sguardo, stringe la nostra mano, afferra i giocattoli. Vediamo piccoli miglioramenti, chiediamo solo di darle il tempo necessario».

di Manuela Antonacci

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