26/10/2017

Vita che vince: il suicidio assistito sconfitto in 27 Stati

Attendendo le dimissioni della senatrice Di Biasi, che come vorrebbero PD e M5S porterebbero la legge sulle DAT in aula senza contraddittorio, in spregio del diritto alla libertà e alla vita dei malati, rilanciamo una notizia che viene dagli USA.

Il Washington Post ha pubblicato un ottimo articolo dello scrittore Paige Winfield Cunningham sul fatto che la legislazione mortifera che legalizza il suicidio assistito sia stata in qualche modo sconfitta o annullata in 27 Stati USA in cui è stata introdotta. La cultura della vita ha prevalso!

Oltre a ciò, i tribunali – in diversi Paesi del mondo –  continuano a dichiarare che non esiste alcun diritto al suicidio assistito.

La high court di New York ha sancito il divieto di suicidio assistito nel mese di settembre, affermando all’unanimità che i pazienti con malattia terminale non hanno un diritto costituzionale di ottenere farmaci  per togliersi la vita da un medico.

Anche i legislatori federali hanno varato un progetto di legge il mese scorso che bloccherebbe le velleità di sancire la disponibilità della vita umana contenute in una normativa dello scorso febbraio: è per proteggere i cittadini più vulnerabili, gli anziani, le persone con disabilità e le persone che soffrono di disturbi psichiatrici, dice la risoluzione: “Gli americani meritano di meglio“.

L’American Medical Association considera fondamentalmente incompatibile  con il ruolo del medico la pratica di aiutare qualcuno a togliersi la vita, che poi pone gravi rischi sociali.

Inoltre, la legalizzazione del suicidio assistito  mette pressione dal punto di vista economico ai pazienti che possono decidere di togliersi la vita per non gravare sui familiari. Specie se le assicurazioni offrono i veleni gratis e le cure a pagamento.

Per questo Quando ad  Hanson fu diagnosticato per la prima volta nel maggio 2014, i suoi medici gli diedero quattro mesi di vita. Da allora, invece, sono passati 3 anni:  ha risposto bene al trattamento (chemioterapia, la radioterapia e l’immunoterapia). Ma ciò non è accaduto subito. Cinque mesi dopo la cura semi paralizzato a letto, Hanson aveva pensato di rinunciare a una tale condizione di vita.

Se avesse avuto a portata i farmaci adatti si sarebbe suicidato [se  fosse stata in vigore le nostra legge sulle DAT sarebbe morto di fame e di sete, ndT]. Si sarebbe tolto la vita che gli restava e che ancora gli resta: una vita di buona qualità condita dall’affetto dei suoi cari.

Alex Schadenberg

 


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