14/02/2020

Starbucks e la sua propaganda Lgbt premiata da channel4

Da dove c’è gusto non c’è perdenza a dove c’è Starbucks non c’è perdenza, il passo è breve. Infatti dopo la rieducazione a dovere, in Italia, di Guido Barilla, reo di aver detto che per lui la famiglia è una sola e che nei suoi ultimi spot sembra aver recepito i nuovi diktat, “ampliando” il concetto di famiglia, ora ci pensa Starbucks a dare il suo endorsment alla comunità arcobaleno.

E sì perché, il colosso del caffè e del cappuccino, la più grande catena del suo genere al mondo, con 28 720 punti vendita in 78 paesi, di cui 12 000 negli Stati Uniti, ha pensato bene di dedicare una reclame a sostegno della comunità Lgbt. Parliamo di uno spot che vorrebbe essere “inclusivo” nei confronti dei transgender e che presenta una ragazzina di nome Jemma, in “fase di transizione” per diventare maschio, triste e sconsolata non si sa bene perché e che una notte sogna, come se si trattasse di un incubo, di arrivare ad una festa e di essere chiamata (addirittura!) col suo nome.

Ma ecco che, il giorno dopo, entra da Starbucks e, come per magia, tutto sembra sorriderle, in particolar modo il dipendente della caffetteria che le chiede come si chiama per poterlo scrivere sul suo bicchiere (da Starbucks su tutti i bicchieri vengono riportati i nomi di coloro che ne fanno uso) e Jemma, sentendo di respirare come un’aria “nuova” (non si capisce bene perché..) dice con decisione quello che ha scelto come nome maschile: “James!”

Ma in realtà non dovrebbe stupire più di tanto questo spot, dato che Starbucks sul suo sito internet riporta che come brand appoggia pienamente le istanze della comunità LGBT avendo partecipato anche al Seattle Pride e ad altre iniziative portate avanti sempre all’interno dell’ambiente arcobaleno.

Fatto sta che la reclame è stata premiata dall’emittente Channel4 con un milione di sterline, non in soldi liquidi, ma con la possibilità di accedere a degli spazi pubblicitari pari al valore del premio ottenuto. E stiamo parlando della televisione di stato.

 

di Manuela Antonacci

 

 

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