13/02/2023 di Giuliano Guzzo

Sanremo. Ciò che rimane dopo il Festival del gender riguarda tutti noi, politica e Governo compresi

Festival dell’omologazione, del gender, non più della canzone. Meriterebbe di esser ribattezzato così, a partire dal prossimo anno, Sanremo che, con l’edizione 2023, ha definitivamente concluso la sua mutazione: da evento nazionalpopolare a kermesse liberal e progressista, da trasmissione per far divertire tutti a programma per indottrinare tutti. Le prove della drammatica metamorfosi sono talmente tante che c’è l’imbarazzo della scelta. Anzitutto c’è stata lei, Chiara Ferragni, che, dopo aver debuttato leggendo una bella letterina a se stessa – in caso qualcuno ancora dubitasse quanto le sia caro l’ego –, ha alternato abiti molto discutibili fino alla serata finale, quando ha sfoggiato un collana dalla forma emblematica: quella di un utero composto da sezioni di corpo femminile, simbolo di attivismo per «i diritti riproduttivi», come viene ingannevolmente chiamato l’aborto volontario.

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Degni di nota, restando in tema di conduttrici con il pallino per le omelie laiche, anche i monologhi della pallavolista Paola Egonuicona del «fluido in amore» che ha voluto ricordare al Paese grazie quale ha potuto affermarsi quanto sarebbe «ancora razzista» - e dell’attrice Chiara Francini, che ha voluto far sapere a tutti quanti che, “beata lei”, vive in un Paese – non certo l’Italia che ha tassi di natalità cimiteriali -  in cui, ad un certo punto «tutti intorno a te cominciano a figliare». Gran e sorridentissimo cerimoniere di tutto l’ambaradan, come noto, è stato Amadeus, conduttore secondo cui bisogna «spiegare ai bambini che esiste un uomo che ama un uomo e una donna che ama una donna e che questo è normale».

Una domanda dunque sorge spontanea: si deve considerare una «spiegazione ai bambini» pure l'amplesso mimato tra Rosa Chemical e Fedez, i quali non si sono risparmiati neppure un bel bacio omo in diretta? Oppure lo si deve considerare diversamente, quel gesto che offende anzitutto il buon gusto, questo sconosciuto? Sarebbe davvero interessante capirlo.

Allo stesso modo, restando al “mitico” Rosa Chemical, sarebbe utile comprendere se egli abbia la licenza di far qualsiasi cosa – come ha fatto alla fine dell'esibizione in coppia con Rose Villain, mostrando un sex toy strillando: «Viva l'amore, viva il sesso, libertà» (che l’originalità!) – o se ci sia un codice di decenza minimo da osservare e, in caso che così non sia, come sembrerebbe, perché diamine non lo si rivela apertamente.

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Non è finita. Altro dubbio che sorge: secondo i responsabili del festival, le canne sono una cosa positiva? Le cosiddette “droghe leggere” il cui consumo, non di rado, è solo l’inizio d’una dipendenza che può portare – e spesso ha portato e purtroppo ancora porta – all’autodistruzione, per i vertici Rai rappresentano qualcosa da proporre al pubblico? E se così non è, scusate, dove sono almeno i richiami per quel «Giorgia legalizzala» (riferito alla cannabis) urlato dagli Articolo 31 e dal solito Fedez?

La domanda più importante, e forse anche più scomoda, è però un’altra: cosa aspettano le istituzioni, incluso il Governo, a smantellare questo carrozzone ideologico che, purtroppo, è diventato il festival di Sanremo, con le canzoni ridotte a contorno e il trionfo di Marco Mengoni quasi a varia ed eventuale? Tra gli aiuti in Turchia e Siria martoriate dal sisma, il contrasto ai rincari, la guerra in Ucraina e i delinquenti che vorrebbero cestinare il 41bis, è comprensibile che l’esecutivo in questi giorni abbia tutt’altre questioni sul tavolo. Ci sta. Ma quanto accaduto a Sanremo in questi giorni pare davvero troppo grave per lasciar correre.

Sappiamo che diversi esponenti di Fratelli d’Italia, e non solo, si sono indignati per lo show - l’ennesimo - del marito di Chiara Ferragni che da una parte ha strappato davanti alle telecamere una foto del viceministro alle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, e dall’altro ha attaccato il ministro per la Famiglia Eugenia Roccella. Una indignazione – per Bignami - sacrosanta, intendiamoci. Però non basta. Beninteso: non si tratta di instaurare alcuna forma di controllo a scapito della libertà di nessuno, tanto meno degli artisti. Tuttavia, va compreso - a proposito di «diritti», ormai parolina passepartout per legittimare qualsiasi cosa - che esistono anche quelle delle famiglie italiane a non essere esposte a volgarità a raffica e dei più piccoli a non essere scandalizzati e bombardati di messaggi negativi. E appunto sono stati, i messaggi negativi, i veri protagonisti del fu festival della canzone, ormai ridotto - lo ripetiamo - a sinistra fiera dell’omologazione e della sessualità fluida.

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