E’ apparso recentemente un articolo su Trieste Prima, giornale online di Trieste, ove viene presentata la campagna pro-aborto promossa da UAAR (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti). Il titolo «Aborto farmacologico (RU486), una conquista da difendere» esprime con chiarezza il pensiero pro-choice in risposta alla campagna dell’Associazione ONLUS Provita e Famiglia dei mesi scorsi. Il poster raffigura la testimonial della campagna, Alice Merlo, che viene descritta come «ragazza serena e con un sorriso accennato»: «Ho scelto di interrompere volontariamente una gravidanza con la terapia farmacologica. L’ho potuto fare in tutta sicurezza. La Ru486 evita il ricovero ospedaliero e l’intervento chirurgico: una scoperta scientifica meravigliosa per la salute delle donne». Viene quindi ribadito il fatto che «La volontà dell'Uaar è quella di controbattere alle frequenti manifestazioni di paternalismo e stigmatizzazione in materia di aborto, presentato spesso come scelta per forza drammatica e sofferta, denunciando che i maggiori problemi legati all’interruzione volontaria di gravidanza sono le dinamiche colpevolizzanti, la riprovazione sociale per aver fatto quella scelta, l’imposizione del senso di colpa e del dolore». Infine si ribadisce che l’aborto rappresenta «la capacità di ogni donna di scegliere per se stessa, l’irrinunciabilità di decidere del proprio corpo e della propria vita, l’importanza della ricerca scientifica in materia di salute sessuale e riproduttiva».
Vi sono però almeno tre elementi critici:
A differenza di quanto vissuto con la campagna di Provita e Famiglia, i manifesti dell’UAAR sono stati lasciati integri, rispettati, non vandalizzati né deturpati (ho le foto che testimoniano i fatti) e anche se qualche episodio di vandalismo si fosse verificato, ci vedrebbe assolutamente contrari. E’ chiara la differenza di qualità culturale e di concezione del pluralismo democratico delle idee (come previsto dalla nostra Costituzione). Si dirà: è ovvio che i manifesti di ProVita siano stati oggetto di vandalismo (da alcuni definito come «doveroso», se non persino «eticamente lecito»)! Sono stati provocatori e hanno raccontato menzogne (paternalismo e stigmatizzazione)! Peccato però che tutte le sofferenze postume delle donne cha hanno praticato l’aborto siano reali, descritte da ampia Letteratura medica e psicologica e non frutto di «una fideistica, cattolica e oscurantista» visione delle cose. Pregherei i lettori di fare una ricerca su Internet, nei blog femminili, per capire quanto dolore vi sia dietro una interruzione di gravidanza. Non parliamo poi delle offese gratuite e volgari ricevute dalle donne testimonial dei manifesti pro-life. Quindi di quali donne si parla positivamente? Solo di quelle che sono d’accordo con l’UAAR?
Nei manifesti dell’UAAR si è parlato di tutto «con tono pacato, tranquillo e sorridente». Peccato però che non è mai citato l’oggetto della «procedura abortiva»: il bambino. E’ totalmente rimosso, nemmeno menzionato. Eppure il senso di colpa delle donne che hanno abortito si manifesta, anche a distanza di molti anni, proprio nell’esperienza di questa assenza, del vuoto lasciato dalla scomparsa del soggetto più fragile: il figlio. E’ tipico delle ideologie: nascondere la realtà e modificare persino le parole e i suoi significati. Si esaltano solo i diritti della donna per le proprie scelte e sul proprio corpo come se il nascituro fosse un organo o viscere della madre, su cui si può decidere «in maniera terapeutica».
I manifesti dell’UAAR sono giunti in ritardo. Già Pro Vita e Famiglia aveva lanciato una campagna a favore delle donne e contro i pericoli che queste possono incontrare nell’uso dei farmaci abortivi, usando modalità comunicative molto forti ma convincenti. Anche se la mentalità abortiva è ormai ampiamente diffusa e molte donne sono tenute, ancora oggi e nonostante massicce campagne massmediali favorevoli all’aborto, all’oscuro dei drammi vissuti con l’interruzione volontaria di una gravidanza, il dibattito è ancora aperto.
I sostenitori di un «Mondo Nuovo» ritengono che queste siano battaglie per la civiltà, ma dimenticano che le uniche a perdere, in ogni caso di aborto, sono sempre e solo le donne.
Siamo realmente interessati a difendere i loro diritti?
Stefano Martinolli
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