04/10/2019

Ricky Martin sarebbe “incinto” insieme al suo compagno

«E comunque, devo dirvi che siamo incinti. Stiamo aspettando». La dichiarazione che non esitiamo a definire “shock” è partita dal cantante Ricky Martin il quale ha già due gemelli, Matteo e Valentino, nati 9 anni fa con il ricorso alla barbara pratica dell’utero in affitto. Un annuncio proclamato in occasione dell'evento "Human Rights Campaign National Dinner", dove il cantante è stato premiato con l'HRC National Visibility Award in quanto attivista LGBT.

Ancora più sconcertante è il resoconto che fa certa stampa del breve discorso di Martin stesso. Ci siamo imbattuti ad esempio in frasi del tipo: «Quel “stiamo” è un riferimento al marito Jwan Yosef, l’artista di origini libanesi con cui Martin è convolato a nozze poco più di un anno fa».

Un’affermazione impressionante che esprime, con ideologica nonchalance, l’illusoria convinzione che due persone dello stesso sesso possano mettere al mondo un bambino. Insomma, un breve, perfetto saggio di quel “linguaggio performativo” da cui oggi siamo invasi e che ben rispecchia l’era del relativismo a 360 gradi in cui viviamo. Un’era in cui, persino il linguaggio ha perso la sua funzione descrittiva e dunque veritativa e questo lo sa bene chi ha a che fare con la comunicazione di massa e in questi come in altri casi utilizza espressioni ad hoc che plasmano un’idea del reale inesistente, producendo un effetto “strutturante” dal punto di vista logico, sui fruitori, che li porta a credere ad una realtà completamente inventata ma, alla fine, tacitamente accettata, in quanto detta e ripetuta fino allo sfinimento e con estrema convinzione.

Infatti, è solo la creazione di un nuovo tipo di comunicazione linguistica che può far essere e far credere cose che non esistono o annullare realtà in carne ed ossa che esistono ma vengono volutamente sottaciute perché troppo scomode e contrarie all’imposizione dell’ideologia dominante.

Un altro esempio lampante di questo è nella descrizione che, nella stessa occasione in cui ha annunciato l’arrivo di un nuovo bambino, Martin fa della sua famiglia:

 «La mia famiglia è qui» ha detto Martin durante la premiazione. «C’è mio marito Jwan, che amo. E ci sono i miei bellissimi gemelli, Valentino e Matteo: vi amo con tutto il mio cuore. Siete la mia forza, la mia ispirazione quotidiana, siete ciò che mi spinge a continuare a fare ciò che sto facendo. Siete ragazzi fantastici e io vi voglio bene. E Lucia, che non è qui ma a casa con la nonna». La grande assente, in queste dichiarazioni, è la mamma dei bambini, la donna che li ha portati in grembo e con cui ha stabilito un legame unico per tutti i 9 mesi della gravidanza, una realtà in carne ed ossa, talmente vera da aver reso possibile quelle piccole vite ma totalmente assente dal discorso di Martin e dai resoconti dei vari giornali, come se fosse inesistente, perché colpevole di ricordare una semplice, oggettiva verità.

E allora meglio cadere nel ridicolo proclamando gravidanze impossibili e negando quelle vere, pur di allontanare il fantasma della verità, perché il sano limite che la natura ci impone è lo scomodo argine ad un delirio di onnipotenza che pretende l’uomo uguale a Dio, anziché essere fatto ad immagine e somiglianza sua. E, ahinoi, sull’altare dell’idolatria dell’ego, come su tutti gli altari, le vittime sacrificali sono, come al solito, i più indifesi, i piccoli orfani creati a tavolino da adulti che poi si atteggiano, pubblicamente, a genitori amorevoli, pur avendo tolto ai loro figli la cosa più basilare a cui qualunque bambino avrebbe il diritto: la loro madre.

 

di Manuela Antonacci

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