26/06/2021 di Luca Marcolivio

#RestiamoLiberi a Torino. L’assessore regionale Marrone: «Ddl Zan limita anche libertà delle regioni»

Anche Torino scende in campo a difesa della famiglia naturale e della libertà d’espressione. Oggi, dopo la grande manifestazione di piazza di Milano dello scorso maggio, il tour di #RestiamoLiberi  per chiedere lo stop al ddl Zan sull’omotransfobia farà tappa a piazza Castello, così come sarà la seconda tappa per il tour del grande bandierone di 600mq. Tra i rappresentanti istituzionali presenti anche Maurizio Marrone, assessore regionale a Rapporti con il Consiglio regionale, Delegificazione e semplificazione dei percorsi amministrativi, Affari legali e Contenzioso, Emigrazione, Cooperazione internazionale e Post olimpico. Raggiunto da Pro Vita & Famiglia, Marrone ha spiegato perché anche le regioni hanno tutto l’interesse ad opporsi al ddl Zan e ha illustrato gli obiettivi della giunta piemontese in tema di politiche familiari.

 

Assessore Marrone, perché la sua presenza in piazza a Torino?

«E’ una presenza, da parte mia, in quanto assessore regionale. Ritengo che alcune previsioni del ddl Zan, in particolare quelle che vanno a determinare un reato d’opinione, possano limitare, in modo illegittimo ma anche molto invasivo, la libertà legislativa delle regioni sulle libertà fondamentali. Penso, ad esempio, al tema dell’affido dei minori: a Torino, il sindaco Appendino, senza alcuna norma nazionale che glielo consenta, ha inaugurato gli affidi di minori a coppie omosessuali. Qualora poi la Regione vada a impedirlo a livello legislativo (è appena cominciato un processo di riforma legislativa proprio in questo ambito), in qualità di legislatori che esprimono questo orientamento, rischieremmo di essere passibili di procedimenti penali per presunta omofobia. Idem per i bandi per le case popolari: evitare di riconoscere punteggi anche a coppie di fatto omosessuali, potrebbe comportare gli stessi rischi per i consiglieri regionali che decidano di votare in tal senso. Credo che le Regioni siano molto coinvolte in questo ddl, quindi non possono fingere di ignorarlo. Anche con l’obiettivo di una più diffusa tutela della libertà di pensiero di ogni cittadino, che dovrebbe essere una preoccupazione pressante e fondamentale per le istituzioni a ogni livello».

Al momento del suo insediamento, lei auspicò un ricorso della Regione Piemonte alla Corte costituzionale, nel caso di un’eventuale approvazione del ddl Zan. Conferma questa linea?

«Sì, abbiamo avanzato l’ipotesi di un’impugnativa su iniziativa regionale. Un ricorso simile era stato fatto durante la scorsa consiliatura dall’ex presidente, Sergio Chiamparino, che aveva promosso un’azione nazionale contro il decreto sicurezza di Salvini. Per gli esempi che ho fatto, credo sia fondata la possibilità di un ricorso regionale contro il ddl Zan, perché impone una sorta di pensiero unico obbligatorio nell’ambito del gender e delle politiche sulla famiglia, che effettivamente va a ledere l’autonomia legislativa delle regioni stesse. L’auspicio, chiaramente, è che, un po’ come è successo con le linee guida di Speranza, il Piemonte non si ritrovi in solitudine nel condurre questa battaglia ma si trovi in buona compagnia con altre regioni, a partire da quelle governate dal centrodestra».

Cosa vuole difendere, in modo particolare, la vostra amministrazione?

«Difendiamo soprattutto i diritti dei minori a non vedersi invase le scuole dall’ideologia del gender. Anche questo chiaramente ci preoccupa molto, visto che l’istruzione è un altro tema su cui le Regioni hanno competenze importanti. Il fatto che nell’educazione statale si vadano ad inserire concetti come la fluidità di genere è qualcosa che noi di centrodestra assolutamente non condividiamo e che contrasteremo con ogni strumento disponibile».

Quali ritiene siano i risultati più importanti dell’attuale giunta regionale piemontese in fatto di politiche per la vita e per la famiglia?

«Abbiamo avviato un dialogo a livello di rapporti formali e istituzionali tra le ASL piemontesi e le associazioni che tutelano la vita. Lo scopo è proprio quello di dare visibilità a queste associazioni all’interno dei consultori, a beneficio delle donne in gravidanza in difficoltà, specie per problemi di natura sociale ed economica, che, per questo, prendono in considerazione l’ipotesi di abortire. Si è trattato di un primo passaggio importante che ha visto il forte contrasto della sinistra radicale e delle associazioni lgbt, senza però alcun effetto: le nostre delibere nei TAR erano a prova di bomba, quindi sono uscite indenni da qualunque impugnativa. L’altro elemento è stato il nostro ricorso contro le linee guida del ministro Speranza, che intendevano trasformare i consultori da luogo di utenza e di informazione nei confronti delle donne a luoghi di attuazione diretta dell’aborto, con la somministrazione automatica del farmaco abortivo. Anche quella è stata una battaglia dura, in cui siamo stati aiutati dalla professionalità dell’avvocatura regionale piemontese. L’abbiamo spuntata, perché abbiamo mandato una nota al Ministero in cui formalizzavamo il nostro rifiuto a dare corso alle loro linee di indirizzo e, a quel punto, non abbiamo ricevuto più nessuna replica. Da questo punto di vista, il Piemonte è una Regione che è rimasta legata alla vera tutela delle donne e della vita all’interno dei consultori, senza l’interpretazione malsana e ancora più espansiva di certi effetti deleteri della legge 194, che viene dal governo nazionale».

Quali saranno, infine, i prossimi obiettivi nei restanti tre anni di mandato della vostra giunta?

«Finora abbiamo raggiunto l’obiettivo di dare agibilità alle organizzazioni di volontariato pro-vita su progetti da loro autofinanziati. Ora, però, la giunta di centrodestra punta a mettere in campo politiche di sostegno alla natalità e all’incremento demografico. Quindi parliamo di vere e proprie misure pubbliche e istituzionali di sostegno alle nascite, perché quelle previste a livello nazionale si stanno mostrando assolutamente insufficienti: i dati del crollo demografico che colpiscono tutta l’Italia e – in particolare, ahinoi, il Piemonte – lo dimostrano. La sussidiarietà promossa dalla nostra amministrazione regionale passa per i sostegni economici ma anche per la creazione di asili aziendali, per il sostegno al lavoro delle giovani madri e per tante altre misure di natura sociale. Dobbiamo far sentire la presenza concreta delle istituzioni al fianco delle famiglie che hanno intenzione di mettere al mondo dei figli ma che finora, in questo, non si sono sentite tutelate».

 




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