12/01/2020

Regno Unito, allarme per i transgender in lista d’attesa nella “cliniche di genere”

In un articolo pubblicato recentemente sul suo sito, la BBC, lancia una sorta di allarme riguardante i transgender in lista d’attesa nel Regno Unito: parliamo di più di 13.500 adulti transgender e “non binari” in lista di attesa per poter essere ricoverati nelle cliniche per l’identità di genere sostenute dal servizio sanitario britannico.

In termini allarmistici, nell’articolo in questione, si denuncia che alcune persone hanno dovuto aspettare tre anni per il loro primo appuntamento. Per questo, dopo che negli ultimi quattro anni si è registrato un aumento del 40% dei rinvii, il sistema sanitario britannico ha dichiarato di aver aumentato gli investimenti a fronte della crescente domanda.

Una notizia che suona come un oltraggio nei confronti di tutte quelle famiglie che, in questi ultimi anni, hanno visto i loro bambini affetti da malattie gravi ma curabili, morire nelle cliniche in cui erano ricoverati per la spietata politica “assistenziale” di diversi ospedali pubblici britannici che, non ritenevano le loro vite degne di un’assistenza medica adeguata ma, al contrario, evidentemente, solo un peso economico e che invece, come dimostrato anche dal recente caso di Tafida, da poco uscita dal reparto di rianimazione dell’ospedale Gaslini, e che il Royal London Hospital già dava per spacciata, avrebbero benissimo potuto andare avanti con i supporti vitali, indispensabili nelle loro condizioni.

E invece no, ancora una volta, il sistema sanitario britannico ha scelto di investire in questioni che con la sopravvivenza non c’entrano nulla, facendole passare anche per un’emergenza, al punto da smuovere ingenti somme di denaro.

Quali sarebbero, allora, questi servizi indispensabili erogati dalle cliniche per l’identità di genere? Li elenca l’articolo in questione: trattamento ormonale, depilazione del viso, rimozione dei peli genitali prima dell'intervento chirurgico, coaching vocale e supporto psicologico. Tutto questo nell’illusione che i trans che optano per l’intervento chirurgico avranno meno problemi psicologici in futuro. E invece diverse testimonianze ci dicono che non è così.

Pensiamo, una fra tante, alla storia riportata da Walt Heyer che, avendo provato sulla sua pelle il medesimo inganno, oggi lotta per far conoscere al mondo la verità. Heyer ha raccontato recentemente sul The Daily Signal, il contenuto di una lettera che avrebbe ricevuto, in cui un giovane transgender di nome Nathaniel gli avrebbe raccontato la sua parabola discendente dopo l’operazione di riassegnazione del sesso biologico rivelatasi disastrosa per la sua psiche, perché, come afferma lui stesso, con chiarezza e senza possibilità di fraintendimenti: «un uomo non sarà mai una donna e non potrà mai diventarlo». Infatti Nathaniel nove mesi dopo l’intervento ha scritto di proposito ad Heyer, rivelandogli: «Ora che sono guarito dagli interventi chirurgici, me ne pento. Il risultato dell'intervento chirurgico sembra nella migliore delle ipotesi un lavoro di taglia e cuci alla Frankenstein, il che mi ha fatto pensare criticamente a me stesso. Mi sono trasformato in un facsimile chirurgico di una donna, ma sapevo di non esserlo. Sono diventato (e in parte, lo sono ancora) profondamente depresso». Se tutto questo non bastasse si aggiunga, ancora, l’alta percentuale di tentativi di suicidio tra i transgender: negli USA, una ricerca dell’inizio 2018, ha mostrato come i tentativi di suicidio, che a livello generale nazionale sono al 4,5%, salgano vertiginosamente tra i transessuali: il 42% degli uomini in cura per diventare donne e il 46% delle donne in cura per diventare uomini avrebbero già tentato il suicidio almeno una volta. Di fronte ad un simile sfacelo e ad un simile grido di sofferenza viene da chiedersi allora perché insistere, persino a livello medico per rinchiudere chi è già ferito di suo, per una seconda volta ancora e definitivamente, nella propria ferita. Cui prodest?

 

di Manuela Antonacci

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