18/02/2017

Psicoreato, censura, fine della libera informazione?

Abbiamo rischiato che lo psicoreato di “omofobia” fosse istituito con la proposta di legge Scalfarotto.

Se passa il disegno di legge N.2688 presentato in Senato in questi giorni da Gambaro, Mazzoni, Divina e Giro, e tanti altri sottoscrittori, di quasi tutte le parti politiche (ce ne sono anche della Lega e di Forza Italia) sarà esso più che sufficiente per introdurre lo psicoreato tout court.  Non è necessario neanche essere “omofobi” per essere condannati. Basta pensare. E soprattutto esprimere un pensiero difforme, basta sollevare una voce non allineata con il mainstream del politicamente corretto.

La nomenklatura che oggi tiene in pugno i grandi media (quelli di carta e la TV), si è resa conto che nell’era del web 2.0. e dell’internet interattivo e dei social le informazioni girano a rotta di collo e fuori dal suo controllo.

E’ vero, girano anche tante bufale. Ma la gente non è così stupida, in fin dei conti. E sa difendersene, e sa discernere. Anche perché la miglior difesa è proprio il pluralismo delle fonti: basta un link per controllare, verificare, risalire...

Lorsignori, Boldrini e Repubblica in testa, dicono invece che il ddl 2688 serve per “difenderci”. E così molti siti chiuderanno e i restanti diverranno inutili: la libera informazione sarà finita.

«Nell’indifferenza generale stiamo entrando nel pieno regime totalitarista, ogni voce dissonante potrà essere giudicata una fake news e perseguita con “l’arresto e la detenzione non inferiore ai 12 mesi e con un’ammenda fino a 5.000 Euro (nuovo articolo 256 bis del Codice penale)” – scrive Pennetta nel suo blog – Quello che renderà la legge un territorio del più arbitrario abuso e strumento di intimidazione e persecuzione è la vaghezza dei reati indicati».

La “diffusione di notizie false” : quali notizie sono false? Quelle diverse dalla “versione ufficiale”? Quelle che possono fuorviare settori dell’opinione pubblica“, cioè che possono indurre a pensare “fuori dalla via” indicata dagli imbonitori di Stato?

Per  esempio, dire che la proposta di legge sulle DAT introduce l’eutanasia è vero, ma “fuorviante”, dare le notizie sugli scandali che hanno coinvolto la Clinton, idem. Del resto l’introduzione al testo di legge dice chiaramente che «l’incremento dei consensi dei movimenti populisti nei paesi occidentali» va di pari passo con «la preoccupazione che le “fake news” possano essere diffuse e poi cavalcate a fini politici».

Non solo: l’art. 1 dice «notizie false, esagerate o tendenziose». Che vuol dire “esagerate”? Intanto significa che anche le notizie vere, se “esagerate” non si possono dare. Ma esagerate rispetto a cosa? Basterebbe questo per mandare in galera chiunque.

E non parliamo delle “campagne d’odio”: saranno sicuramente considerate tali le petizioni – per esempio – contro le adozioni gay o contro l’utero in affitto.

Osserva Pennetta: « Poiché la libera informazione ha prodotto i suoi effetti quando una serie di testate che si sono conquistate la fiducia dei lettori negli anni hanno cominciato a convergere nei giudizi dando origine ad una massa compatta di persone informate e determinate che poi sono andate a votare [per es. per il nostro referendum, per non parlare delle elezioni americane], lo scopo è adesso quello di bloccare le notizie che compattano settori significativi di opinione pubblica ... Si potrà ancora dare delle notizie, ma purché restino voci isolate e non disturbino il regime». 

Scrivevamo circa un mese fa in Gender, aborto, psicoreato e censura su internet” che sarebbe orgoglioso dei suoi “discepoli” Nikolaj Ivanovič Ežov, ex capo dell’Nkvd (Narodnyj komissariat vnutrennich, Commissariato del popolo per gli affari interni ), dal 1936 al 1938. E’ stato lui l’ideatore dell’ipotesi di reato dell’art. 58 del Codice penale dell’URSS. Il reato di “attività controrivoluzionaria“, definito in modo assai vago, in modo che poi i giudici potessero usarlo per condannare ogni forma di dissenso e spedirla nel Gulag.

Era, insomma, il reato di opinione (fu Orwell in 1984 che poi lo definì “psicoreato“): il divieto non solo di parlare, ma anche di pensare cose diverse da quello che che imponeva lo Stato.

Francesca Romana Poleggi


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