23/11/2021 di Giuliano Guzzo

Psicologi tristi per la fine del ddl Zan

Il fatto che il ddl Zan non sia stato approvato non ha rattristato solo Lady Gaga, i Måneskin, gli influencer e la galassia arcobaleno. Il naufragio, con la «tagliola» del Senato, della legge contro l’omotransfobia ha lasciato una scia ben più ampia di nostalgici della bella norma andata; anche tra categorie professionali che, in quanto tali, dovrebbero essere caratterizzate da una certa terzietà, come gli psicologi.

La prova più lampante viene da «Ddl Zan: che occasione abbiamo perso», intervento dello scorso 29 ottobre che, a prima vista, avrebbe potuto essere svolto – per l’enfasi di questo titolo – dall’onorevole Alessandro Zan in persona oppure dalla senatrice Monica Cirinnà. Invece si tratta di una presa di posizione ufficiale dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, che ha pianto il destino della legge arcobaleno con grande tristezza.

«Decenni di ricerche in campo psicosociale», si legge infatti sul portale degli psicologi lombardi, «sottolineano chiaramente quanto l’assenza di una adeguata tutela da parte dello Stato nei confronti delle persone oggetto di discriminazioni e violenze porti a forti ripercussioni negative sulla loro salute mentale e sulla qualità della vita».

Continua, inconsolabile, l’Ordine degli psicologi lombardi: «Il blocco del DDL Zan in Senato rappresenta allora un’occasione persa nella lunga e storicamente difficile strada verso il riconoscimento dei diritti delle persone LGBT+, delle donne e delle persone con disabilità». Ora, anche se ripetuto mille volte è opportuno evidenziare che la lotta alle discriminazioni è qualcosa di doveroso e che ci deve trovare tutti d’accordo.

Il punto è che il ddl Zan, attenzione, non era questo. Era invece una norma di dieci articoli che sanciva la fluidificazione dell’identità personale riducendola a fascio di «percezioni»; era un ddl che andava a colpire la libertà di pensiero; che prevedeva forme di interventi a senso unico, dal sapore indottrinante, «in scuola di ogni ordine e grado». Insomma, il ddl Zan era davvero molto di più.

Tanto è vero, che ad opporsi a tale proposta - o quanto meno a criticarne certi aspetti -, oltre a giuristi di primo livello (magistrati, presidenti della Corte Costituzionale, ecc.), nei mesi scorsi si sono fatte avanti varie personalità gay, da Platinette ad Aurelio Mancuso, già presidente nazionale Arcigay, dal giornalista Fabrizio Sclavi al politico Nino Spirlì. Perfino scrittrici trans, come Nevia Calzolari, o modelle trans, come Efe Bal, non condividevano in toto la norma «di civiltà»; per non parlare poi di femministe come Marina Terragni, ferocemente contrarie a quel testo.

Dunque davvero il tema di quel ddl non era la discriminazione. Eppure, come si diceva, abbiamo tutt’ora ordini di psicologi che piangono, come vedove in lutto, su quella norma. Il che, se su un piano del singolo individuo è pienamente legittimo, quando inizia ad essere la posizione di un ordine può suscitar qualche problema, anche ammettendo che tutti quanti gli psicologi ad esso iscritti la pensino esattamente così.

Sì, perché il Codice deontologico degli psicologi stabilisce come esso debba «prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza» (articolo 3). Ora, sicuramente ci sbaglieremo, ma tra «l’uso non appropriato della sua influenza», da parte di un professionista della salute mentale, e il suo stracciarsi le vesti per «l’occasione persa» con la mancata approvazione di un ddl, come lo Zan, che non piaceva manco a senatori progressisti dichiaratamente gay (come Tommaso Cerno), ecco, ci pare di scorgere un punto di contatto. Ma, lo ripetiamo, di certo si sbaglieremo e comunque lungi da noi ergerci a giudici di Ordini professionali particolari.

Certo, prima di assumere certe prese di posizione molto di parte - questo vale in generale -, c’è quanto meno una virtù che andrebbe riscoperta. La prudenza. Perché chi ha la necessità di un supporto psicologico, qualunque esso sia, deve aver la certezza di potersi rivolgere ad un professionista serio ed equilibrato, non già a un militante; a prescindere dalla sua area di riferimento.

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