08/01/2024 di Luca Marcolivio

Propaganda a PMA con soldi Ue e patrocinio del (precedente) governo

Simul stabunt, simul cadent. Per quanto in molti si ostineranno ancora ad affermare il contrario, il legame tra fecondazione artificiale e propaganda Lgbt+ è fortissimo, quasi inscindibile. Non è azzardato pensare che, venendo a mancare l’una, perderebbe di forza l’altra e viceversa. L’ennesima dimostrazione del fenomeno sono i manifesti diffusi ormai da almeno tre mesi a Ravenna, dove il Centro Antidiscriminazioni Lgbt+, in collaborazione con l’Arcigay, ha messo in piedi una campagna di sensibilizzazione (o meglio: una propaganda) a favore delle persone gay, lesbiche, transgender, ecc.

Al centro di tale campagna, dal titolo Insieme si può, ci sono varie storie, con relative immagini di singoli cittadini o coppie “discriminate” (o presunte tali) dalla legislazione italiana vigente. Come quella di Chiara e Giovanna, che affermano: «Presto avremo un bambino, vogliamo riconoscerlo come figlio di entrambe ma non sappiamo se il nostro Comune trascriverà il suo certificato di nascita». E aggiungono: «Essere genitori è una bellissima avventura. Ma mettere al mondo figli* per le persone LGBTQIA+* può trasformarsi in un percorso ad ostacoli». In calce al manifesto, l’invito del Centro Antidiscriminazioni Lgbt+: «Se sei nella stessa situazione di Chiara e Giovanna, puoi rivolgerti a noi. Insieme si può».

Un’altra di queste testimonianze riferisce: «Mi chiamo Fra e sono una persona trans*. Prima di intraprendere il mio percorso di transizione giocavo a calcio. Vorrei tanto tornare ad allenarmi ma ho paura di quello che potrebbe accadermi». C’è persino la madre di un adolescente trans che confida la sua incapacità di supportare il figlio trans Karim, che ha paura di essere cacciato di casa, in quanto la sua famiglia è musulmana.

Non mancano gli slogan per questa campagna: «Non c’è posto per l’odio»; «Chiamiamo le persone con il proprio nome»; ma soprattutto: «Non usiamo bagni diversi» (che richiama un argomento spesso battuto per l’introduzione della carriera alias nelle scuole). La campagna Insieme si può – come spesso avviene nella propaganda Lgbt+ – cavalca altre campagne anti-discriminazione di altri ambiti, suscettibili di coinvolgere un pubblico più ampio di quello “arcobaleno”: il 27 gennaio, ad esempio, in occasione della Giornata della Memoria, si esorta a celebrare l’Omocausto e così via.

Il vero nodo problematico dell’intera iniziativa, tuttavia, è un altro: la campagna del Centro Antidiscriminazioni Lgbt+ è stata avviata con il patrocinio del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con la condivisione dell’Unar, del Pon Inclusione e dell’Unione europea. Soldi pubblici, dunque. A porre in rilievo la presunta incongruenza con la presenza del logo del Ministero è stato il quotidiano La Verità, che, in un suo approfondimento, argomenta: «Nel momento in cui le urne esprimono una maggioranza di destra, ci si aspetta – quantomeno su temi che non riguardano la politica economica, dove purtroppo vige il vincolo esterno». È ancora La Verità a denunciare come la campagna sia stata «camuffata» da iniziativa formativa per «mediatori culturali». È vero però che il patrocinio era stato avviato durante un precedente governo. Che l’esecutivo attuale, in carica da più di quindici mesi, non si sia mai premurato di sospenderlo, è comunque qualcosa che lascia molto pensare. Solo una svista? Pura e semplice distrazione?

 

 

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