30/06/2025 di Giuliano Guzzo

Pronto il testo base della legge sul suicidio assistito, tra indiscrezioni e conferme

Dovremmo, ahinoi, esserci. In vista del 17 luglio – data prevista per il suo approdo in Aula in Parlamento – sarebbe pronto un testo base per la proposta di legge sul fine vita, a quanto pare condiviso da parte dai partiti di maggioranza di centrodestra. Una norma che non sarebbe la prima in assoluto sulla materia – anzi, sarebbe la terza in Italia dopo quelle sulle cure palliative del 2010 e sul biotestamento del 2017 -, ma sarebbe la prima esplicitamente dedicata al suicidio medicalmente assistito e che recepirebbe i pronunciamenti della Corte Costituzionale, la quale ha stabilito le condizioni della non punibilità del suicidio assistito nel nostro Paese.

I punti centrali del testo base

Da quanto è trapelato su alcuni organi di informazione (in parte confermato dalla senatrice della Lega Giulia Bongiorno) il testo –  che dovrebbe iniziare il suo percorso, come detto, in Aula il prossimo 17 luglio – dovrebbe ruotare attorno a tre elementi, che ruotano sostanzialmente sulle cure palliative, su un “Comitato etico” nazionale e sul ruolo del Sistema Sanitario Nazionale. Ma andiamo con ordine e snoccioliamo, uno per uno, i punti di questa legge che – comunque – è e rimane per Pro Vita & Famiglia onlus irricevibile e assolutamente da bloccare e bocciare.

Le cure palliative

Il primo punto riguarda le cure palliative come prerequisito. Il paziente dovrebbe, quindi, essere inserito in un percorso di cure palliative, considerate essenziali per una scelta libera e consapevole. In effetti, la stessa Corte Costituzionale, se da un lato ha incoraggiato il legislatore ad intervenire sul fine vita, dall’altro ha evidenziato la necessità di adoperarsi sul fronte delle cure palliative. Basta leggersi la sentenza 135 del 2014, nella quale si afferma a chiare lettere che «deve essere confermato lo stringente appello, già contenuto nella sentenza n. 242 del 2019 (punto 2.4. del Considerato in diritto), affinché, sull’intero territorio nazionale, sia garantito a tutti i pazienti […] una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza, secondo quanto previsto dalla legge n. 38 del 2010, sul cui integrale rispetto giustamente insiste l’Avvocatura generale dello Stato», assicurando, innanzitutto, «la previsione delle necessarie coperture dei fabbisogni finanziari». Da quanto è dato capire la nuova bozza di legge dovrebbe prevedere anche un organismo di monitoraggio per controllare la spesa delle Regioni in favore di queste cure e stabilire l’impegno di portare entro il 2028 una copertura attraverso le medesime del 90% sul territorio per gli aventi diritto. Non si tratta, comunque la si pensi, di un traguardo scontato se, per esempio, si considera che nel pur virtuoso Veneto dove il Governatore Luca Zaia si è speso per una legge sul suicidio assistito – venendo sconfitto in Consiglio regionale per la prima volta nella sua vita istituzionale – appena il 26% delle Usl sia dotato di équipe specialistiche, negli hospice manchino circa 250 posti letto, solo il 12% delle Usl goda d’un servizio 24 ore su 24, solo il 27% abbia specialisti in Medicina palliativa e solo il 32% sia finora riuscito ad essere seguito a casa, con le cure palliative appunto (dati Agenas).

Un Comitato “etico” nazionale

Ma torniamo alla bozza di legge, che oltre a fissare il prerequisito poc’anzi illustrato, pare preveda un organo centrale e unico - non più regionale, quindi – chiamato «Comitato di valutazione etica» e nominato dalla Presidenza del Consiglio composto da sette figure: un giurista, un bioeticista, un anestesista-rianimatore, un palliativista, uno psichiatra, uno psicologo ed un infermiere. Tale «Comitato», contro la cui istituzione pare l’opposizione abbia già annunciato battaglia, risponderebbe ad una specifica funzione: la valutazione delle richieste di morte assistita – con l’obbligo di pronunciarsi entro 60 giorni, prorogabili massimo a 120 - e l’acquisizione d’un parere medico non vincolante sulla patologia del richiedente.

Il ruolo del Servizio Sanitario Nazionale

Infine, il terzo fronte su cui dovrebbe intervenire la nuova proposta di legge concerne il ruolo del Servizio sanitario nazionale (Ssn) e la figura del cosiddetto «aiutante». Una figura, quest’ultima, introdotta affinché il Ssn – al fine di evitare conflitti con la Costituzione – non eroghi direttamente la morte assistita e che può operare anche in ospedale, senza trasferire il paziente. Affinché l’operato di questo «aiutante» non sia punibile, dovranno sussistere le quattro, ormai “famose” condizioni stabilite dalla Consulta: il proposito libero, consapevole, di persona maggiorenne e capace dell’aspirante suicida; il fatto che egli - con patologia irreversibile e sofferenze intollerabili – sia sottoposto a cure palliative; il fatto che egli sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale; il fatto che tutte queste condizioni siano state verificate come sussistenti dal «Comitato» nazionale.

La figura dell’«aiutante»

La Presidente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama e senatrice leghista, Giulia Buongiorno, ha dichiarato - intervistata da Radio Radicale - che nella definizione della figura dell’«aiutante» si terra conto di quanto la Corte Costituzionale dirà l’8 luglio pronunciandosi sul caso di “Libera” – nome di fantasia scelto da una signora toscana di 55 anni -, la quale, completamente paralizzata per una sclerosi multipla, ha ottenuto dalla sua Regione accesso al suicidio assistito ma non può morire perché la sua completa paralisi non le consente di autosomministrarsi il farmaco letale. Avrebbe quindi bisogno proprio della figura di una persona che la “aiuti” a suicidarsi. Staremo a vedere se questo testo condiviso dalla maggioranza e «di equilibrio» - come l’ha definito la stessa Buongiorno – avrà un percorso lineare o troverà, come invece pare, dure contestazioni da parte delle opposizioni. Quel che è certo è che non è un passo obbligato in una forma specifica e che ci si augura venga davvero bocciato e stoppato, proprio perché non serve una legge sul suicidio medicalmente assistito, come tra l’altro ha più volte dichiarato Pro Vita & Famiglia onlus. Nel senso che, se da un lato questa proposta di legge vuole rispondere agli stimoli della Consulta a legiferare, dall’altro, come rilevato anche dal Centro Studi Livatino, la stessa Corte ha evidenziato che la «disciplina potrebbe essere eventualmente introdotta in vario modo: la Corte indicava la possibilità di una eventuale modifica della disposizione penale di cui all’art. 580 c.p., o anche la modifica della legge n. 219 del 2017 o, ancora, una disciplina ad hoc per le vicende pregresse: esprimendo, così, fuori dal caso delle vicende pregresse, la possibilità (ma sembrerebbe anche una preferenza) per una puntuale modifica sull’art. 580 c.p. o sulla legge n. 219».

Non serve una legge

In tutto ciò, resta comunque – come accennato - la ferma contrarietà di Pro Vita & Famiglia ad ogni norma sul fine vita che non sia quella che – intervenendo solo sul piano delle cure palliative e rafforzandole - impedisca ogni forma e tipologia di morte assistita, senza scappatoie, eccezioni, deroghe o cause di non punibilità di sorta. Perché la vita umana è un valore intangibile ed è, pertanto, sempre degna di essere vissuta fino in fondo.

 

 

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