25/09/2019

Primo sindaco trans osannato. Ma non è anche questa una discriminazione?

Ad inaugurare, lo scorso sabato sera, il Bari International Gender Film Festival – una kermesse sulle arti performative «di genere» - c’era un ospite d’eccezione e quanto mai adatto all’occasione: l'avvocato Gianmarco Negri, sindaco di Tromello, paesino di poco più di 3 mila e 500 abitanti in provincia di Pavia, e soprattutto, primo sindaco trans d’Italia. Una partecipazione, quella del sindaco di Tromello, che egli ha vissuto con grande trasporto, come non ha mancato di segnalare lui stesso con un lungo ed appassionato post su facebook.

«Bari alle mie spalle e il dispiacere di non poter restare», ha scritto Negri sul suo profilo, «negli occhi accesi di emozione i volti sorridenti di chi mi aspettava e loro non sanno quanto mi hanno fatto sentire importante e coccolato. Porto nel cuore un ragazzino e il nostro abbraccio davanti ai suoi genitori, mi porto le emozioni, il batticuore, le strette di mano e quell'aria di condivisione e amore così intensa che passava dalle narici. Mi porto a casa un pezzo di Gianmarco plasmato anche se per poco da una terra di calore e colore. Nuovi insegnamenti per me, nuovi spunti, altri progetti, anche per il mio bellissimo paese».

Ora, non certo per criticare l’avvocato Negri né, tanto meno, per ironizzare sulla fama che si è guadagnato – lo si diceva poc’anzi – come primo sindaco trans d’Italia, tuttavia un dubbio sorge veramente spontaneo: ma chi esalta la sua figura, non lo espone forse ad una strumentalizzazione che, in fin dei conti, sconfina nella discriminazione? Ci spieghiamo meglio. Da decenni, il mondo omosessuale ha fatto della battaglia della parità una propria priorità. Si può non essere d’accordo su tanti aspetti e rivendicazioni della galassia gay, ma questo è un dato di fatto inconfutabile.

Ebbene, se le cose stanno in questi termini, se cioè davvero la persona di orientamento non eterosessuale desidera essere rispettata come tutti gli altri, senza dunque il benché minimo trattamento differenziato, incensare un politico, ancorché locale, non per via di meriti amministrativi – che certamente ci saranno, ci mancherebbe – ma esclusivamente in quanto appartenente alla galassia Lgbt, non rischia appunto di essere discriminatorio? Non c’è, insomma, il pericolo di alimentare una cultura che ritiene le persone gay o transessuali «diverse»?

Si avanzano, qui, queste perplessità sia nella consapevolezza che esse non sono nuove, sia – lo si ripete – nel massimo rispetto delle sensibilità di ciascuno. Tuttavia, davvero, questo episodio - per quanto di cronaca locale - se esaminato da vicino non fa che rilanciare il sospetto che molto dell’attuale visibilità di personaggi a vario grado riconducibili all’universo arcobaleno sia contraddittoria rispetto ad una normalità che, se raggiunta, non dovrebbe legittimare alcuna forma di spettacolarizzazione. Perché infatti salutare come una celebrità chi è gay o trans nel momento in cui davvero tale condizione fosse associata a qualcosa di ordinario, per cui non ha senso alcuno stupirsi?

Ce lo chiediamo, certi che una risposta a simili interrogativi da parte di figure riconducibili alla cultura dominante non verrà certamente data. Forse perché una risposta, nei fatti, già c’è: ed è quella che conferma come probabilmente, alla base di quanto abbiamo sin qui riportato, una contraddizione ci sia davvero.

 

di Giuliano Guzzo

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