17/11/2023 di Luca Marcolivio

Pillon di nuovo a processo: «Vogliono negarmi il diritto di critica politica»

Il processo contro Simone Pillon, accusato di diffamazione da parte dell’associazione Lgbt+ ARCIGAY Omphalos riprenderà il prossimo 22 novembre, dopo l’annullamento dell’assoluzione avvenuta in Cassazione. In realtà, nel frattempo, è intervenuta una nuova importantissima testimonianza, che giocherebbe a favore del noto avvocato pro-family e senatore durante la legislatura 2018-22. In primo grado Pillon era stato condannato in sede penale al Tribunale di Perugia alla multa e ad un risarcimento del danno, consistente in 30mila euro oltre le spese legali. Dopo il ricorso in secondo grado, la Corte d’Appello di Perugia diede ragione all’imputato, che venne prosciolto da ogni accusa, quindi la condotta di Pillon fu stata dichiarata lecita. In seguito, il procuratore generale di Perugia e le parti civili hanno impugnato l’assoluzione, conseguentemente annullata in Cassazione. La lunga vicenda giudiziaria che vede coinvolto Pillon – come lui stesso ha spiegato a Pro Vita & Famiglia – è evidentemente viziata di elementi politici e ideologici, che poco hanno a che vedere con la certezza e l’imparzialità della legge.

Avvocato Pillon, per quale motivo la sua assoluzione è stata annullata, riaprendo così il suo caso giudiziario?

«La Cassazione ha ritenuto che fossero necessari ulteriori approfondimenti con particolare riferimento al nucleo dei fatti che io ho raccontato e al diritto di critica politica. La Corte Suprema ha dunque rimandato il processo alla Corte di Appello di Firenze, la quale, con motivazioni non convincenti, si è pronunziata, ha ritenuto l’inattendibilità dei fatti così come da me raccontati e non ha ritenuto sussistente il diritto di critica politica. La corte fiorentina ha inoltre trascurato una novità che si era verificata durante il processo di appello-bis: era emersa la testimonianza di una persona che io, durante il processo di primo e secondo grado, neppure conoscevo e che, invece, ho conosciuto in una trasmissione televisiva nel 2022. Questa persona ha raccontato ai miei avvocati alcune importanti circostanze, che confermano in modo assolutamente chiaro la mia versione dei fatti, ovvero quello che accadeva nel night club gestito da questa associazione Lgbt+. Tuttavia, la Corte d’Appello di Firenze non ha ritenuto ammissibile quella nuova prova e l’ha esclusa. Nel frattempo però si è prescritto il reato, per cui la Corte di Appello di Firenze mi ha dovuto assolvere per il reato di diffamazione ma ha però confermato le condanne civili, cioè il risarcimento di 30mila euro, oltre a condannarmi a tutte le spese legali per altri 33mila euro, quindi, in sostanza, io ho già pagato 63mila euro circa alle associazioni Lgbt+ che si sono costituite parte civile e ai loro rappresentanti. Contro la sentenza di Firenze noi abbiamo presentato ricorso in Cassazione sostenendo essenzialmente due motivi».

Quali?

«Il primo motivo è che la Corte di Firenze ha sbagliato, non ammettendo la nuova testimonianza, perché si trattava di una testimonianza determinante, visto che si fondava proprio sul nucleo fattuale che io avevo contestato. Questa testimonianza sarebbe stata importantissima perché ci avrebbe fornito un quadro molto più chiaro di quello che realmente accadeva in quei contesti, visto che secondo il testimone, si svolgevano attività sessuali di tipo Lgbt+ e molto altro. Durante l’assemblea di istituto furono messi a disposizione volantini che invitavano gli studenti a quel tipo di intrattenimento, senza che i genitori fossero informati. Il testimone conferma quello che avevo sostenuto all’epoca e non può essere escluso dal giudizio. L’altro motivo per cui è stata impugnata la sentenza di Firenze sta nel fatto che la Corte fiorentina non ha riconosciuto il diritto di critica politica. Hanno riconosciuto, cioè, che io ero un personaggio politico, tuttavia non hanno valutato che anche il mio contraddittore, cioè l’associazione che io ho criticato, a sua volta aveva una chiara natura politica. Quindi, trattandosi di una discussione pubblica e di un dibattito pubblico sul tema del gender nelle scuole e tra due soggetti politici, andava riconosciuta la scriminante del diritto di critica politica. Questi sono essenzialmente i nostri motivi di ricorso alla Cassazione».

Che argomenti porterete lei e i suoi legali durante il processo?

«Abbiamo già presentato tutte le memorie: non ci sarà un processo in presenza delle parti, perché ormai i processi si svolgono quasi integralmente in modo cartolare. La Corte sarà chiamata a leggere le memorie delle parti e poi a decidere. I miei avvocati hanno sostenuto e ribadito che la nuova prova sarebbe stata fondamentale, anche perché, secondo quanto riferito nella testimonianza resa ai legali (che speriamo sia ammessa anche davanti alla Corte), emerge con chiarezza che in quella in quelle serate non solo c’erano delle dark room in cui era possibile fare sesso gay ma anche molto altro, niente affatto adatto a ragazzi minorenni. Quindi, si tratta di fatti gravissimi che sono stati raccontati da una persona insospettabile, che all’epoca era tra i dirigenti di quell’associazione, quindi noi crediamo che siano di fondamentale importanza che la Corte li valuti. Nella loro memoria, i miei legali hanno anche ribadito la necessità che sia riconosciuta anche la scriminante della critica politica, proprio perché l’associazione che mi ha querelato ha un carattere politico che risulta anche dallo Statuto dell’associazione stessa, quindi non è comprensibile per quale ragione non sia stata riconosciuta la discriminante della critica politica visto che si trattava di due soggetti politici che stavano nel pubblico dibattito, all’epoca incentrato sulla liceità o meno dell’inculturazione gender nelle scuole. Mi auguro che la Corte suprema, come già la Corte di Appello di Perugia, voglia riconoscere il diritto di criticare le associazioni Lgbt+ e le loro teorie sociali, antropologiche e politiche. Ne va della libertà di pensiero, di parola e di religione».

 

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