15/07/2020 di Luca Marcolivio

Omotransfobia. I “no” di Salvini e Meloni per una norma «profondamente sbagliata»

Lega e Fratelli d’Italia si confermano le formazioni politiche più nettamente contrarie al ddl Boldrini-Zan-Scalfarotto contro l’omotransfobia. La partecipazione a sorpresa di Matteo Salvini e Giorgia Meloni alla presentazione del libro Omofobi per legge? Assolti per non aver commesso il fatto, a cura del Centro Studi “Rosario Livatino”, ha tutto il sapore di una vera discesa in campo a difesa della famiglia naturale e della libertà d’espressione. Una presa di posizione significativa, proprio nel momento in cui Forza Italia si è smarcata dagli alleati di centrodestra, astenendosi dal votare il testo del ddl, approvato così in Commissione Giustizia alla Camera.

Intervenendo all’evento di martedì pomeriggio a Palazzo Marescotti, Giorgia Meloni ha garantito “l’impegno di Fratelli d’Italia contro una norma profondamente sbagliata”, in primo luogo perché divide pregiudizialmente l’umanità in “buoni e giusti”, da un lato, e “ignoranti”, dall’altro. Se si approfondisce attentamente la genesi del ddl, è facile notare che non sussiste alcuna ragione che imponga il varo di alcuna norma anti-omotransfobia: né una “escalation di reati d’odio”, né un “vuoto normativo”, né l’ennesimo “ce lo chiede l’Europa”. In otto anni, ha ricordato la Meloni, i reati di hate speech e di hate crime contro omosessuali e transgender sono stati non più di 200. Inoltre il nostro ordinamento già punisce chi compie questo tipo di minacce e, comunque, “non abbiamo obblighi internazionali a varare una legge di questo tipo”.

Il ddl Boldrini-Zan-Scalfarotto, ha osservato ancora la leader di Fratelli d’Italia, è pericoloso per il suo contenuto ambiguo e “generico”: la bozza di legge, ad esempio, non definisce cosa sia “discriminatorio” e potrebbe prestarsi ad interpretazioni discrezionali e paradossali. Se fosse vero, come affermano gli ideologi lgbt, che i sessi non sono due ma almeno una trentina, e in una scuola, gli studenti che non si riconoscono né come maschi, né come femmine si sentissero discriminati, “facciamo per loro 29 bagni diversi?”.

“Io vengo etichettata come ‘omofoba’ anche dieci volte al giorno – ha proseguito la Meloni – perché ritengo l’utero in affitto una pratica barbara” e che non si debba privare un bambino del diritto a una madre e a un padre: “Significa che io odio qualcuno? No, significa che voglio difendere quel bambino. Ho questa convinzione per amore del più debole, che è quel bambino. E uno Stato giusto non si occupa del più forte ma del più debole”.

Da parte sua, Matteo Salvini ha messo in luce come il vero “dato economico, sociale e culturale devastante” sia il crollo demografico nel nostro paese, per cui, a maggior ragione, è assurdo possa considerarsi prioritaria una legge sull’omotransfobia. Rivendicando il diritto del bambino ad avere un padre e una madre naturali o adottivi, “senza rischiare la galera”, Salvini ha raccontato di aver recentemente postato su Instagram l’immagine di una maglietta raffigurante la famiglia ‘tradizionale’ – mamma, papà e due figli – stilizzata e di essere stato, per questo, attaccato su Instagram, in quanto quell’immagine, a detta di taluni, sarebbe “discriminatoria”.

Secondo Salvini, quella a difesa della famiglia naturale è una “battaglia giusta” ma “mediaticamente difficile”, in quanto “il 95% degli organi di informazione è studiato apposta per veicolare un messaggio esattamente contrario” e manipolare in negativo i messaggi pro-famiglia. Il segretario della Lega è tornato quindi a condannare l’utero in affitto: “È un crimine contro l’umanità e uno sfregio nei confronti della donna, è come trattare la donna come un bancomat. Voglio sostenere queste battaglie di civiltà senza rischiare una denuncia”, ha quindi concluso.

Alla tavola rotonda a Palazzo Marescotti hanno preso parte giuristi e rappresentanti dell’associazionismo pro-life e pro-family. Il presidente del Centro Studi “Rosario Livatino”, Mauro Ronco, e il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, si sono soffermati sugli aspetti giuridici del ddl Boldrini-Zan-Scalfarotto, con particolare riferimento alle violazioni della libertà di pensiero. Il leader del Family Day, Massimo Gandolfini ha evidenziato un ulteriore paradosso all’interno delle lobby anti-vita e anti-famiglia: proprio laddove nel dibattito sull’eutanasia si pone l’accento sulla “libertà di suicidarsi”, in ambito omotransfobia, l’impostazione di pensiero è spiccatamente “illiberale e liberticida” e spiana la strada al “reato d’opinione”. Questa concezione rischia di danneggiare anche la “libertà di cura” da parte di quegli psichiatri che, di fronte a pazienti che vivono con disagio la loro “condotta sessuale egodistonica”, non escludano di mostrare loro strade alternative, che potrebbero significare l’abbandono dell’omosessualità. Un ulteriore fondamentale aspetto rimarcato da Gandolfini è nell’indottrinamento gender a scuola, già dalla prima infanzia: “Non possiamo lasciare i nostri figli nelle mani di un’ideologia gender fluid senza identità e radici. Per questo combatteremo fino alla fine”, ha concluso il leader del Family Day.

Hanno preso parte al dibattito anche Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita italiano; Gianluigi De Palo, presidente del Forum delle Associazioni Familiari; Alberto Gambino, presidente di Scienza&Vita. Casini ha deplorato il ricorso “in maniera scorretta al diritto penale”, utilizzato in “funzione moralizzatrice”, laddove questo strumento giuridico andrebbe utilizzato solo “in extrema ratio, quando altri strumenti si rivelano inefficaci”. Sia De Palo che Gambino, infine, hanno sottolineato la necessità di un “dialogo” spassionato tra tutte le parti, evitando le logiche da tifoseria, affinché la verità e il bene per l’essere umano possano alla fine prevalere.

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